Cosa si intende per malattia renale cronica del gatto? La malattia renale cronica del gatto (anche nota come CKD dall’inglese chronic kidney disease) è una patologia degenerativa che colpisce solitamente entrambi i reni causandone una perdita di funzionalità di grado variabile. La malattia renale cronica del gatto ha un andamento progressivo e irreversibile, è pertanto fondamentale che la patologia venga riconosciuta precocemente per poterne rallentarne la progressione ed evitare l’instaurarsi di complicazioni sistemiche che possono influire negativamente sulla prognosi nel lungo termine. Quali sono le funzioni principali del rene? Nel gatto come in tutti i mammiferi il rene svolge diverse funzioni vitali come quella di liberare il sangue da tossine e prodotti del metabolismo (che vengono escreti con le urine), regolare il bilancio idrico corporeo, regolare la quantità di sali minerali, partecipare a regolare la pressione sanguigna ed infine quella di produrre ormoni come, ad esempio, l’eritropoietina che stimola la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo. Fortunatamente i reni hanno una grossa riserva funzionale per cui prima che compaiano i segni di insufficienza renale almeno 2/3 della massa renale devono essere andati perduti. Quali sono le cause di malattia renale cronica del gatto? Nella maggiore parte dei casi di malattia renale cronica felina la causa esatta che ha portato alla irreversibile perdita di funzionalità dei reni rimane sconosciuta e si parla pertanto di una eziologia idiopatica. Tuttavia, diverse cause di danno renale cronico sono state individuate nel gatto. Queste includono: Tossine Farmaci Tumori di diversa origine Malattia renale policistica (tipica dei gatti Persiani e simili) Infezioni batteriche (pielonefrite) Infezioni virali Malattie immuno-mediate del rene (glomerulonefriti) Malattie metaboliche (ad esempio l’amiloidosi tipica dei gatti Siamesi, Abissini, Burmesi e di razze orientali a pelo corto) Calcoli renali e ureterali Ipercalcemia (aumento dei livelli di calcio nel sangue) Sarà molto importante quindi, una volta confermata la malattia renale cronica, valutare la presenza di cause predisponenti perché alcune di queste potrebbero essere risolte permettendo di arrestare o quantomeno rallentare la progressione della malattia. Quanto é comune la malattia renale cronica nel gatto? Si stima che circa il 30-50% dei gatti di età superiore ai 10 anni sia affetto da malattia renale cronica. La patologia può colpire gatti di qualsiasi età ma è solitamente diagnosticata in gatti di età geriatrica (superiore a 7 anni). Seppur gatti di qualsiasi razza e anche gatti comuni europei soffrano di malattia renale cronica, alcune razze feline sono maggiormente a rischio come Maine coon, Abissino, Blu di Russia, Burmese e Siamese. Non è stata invece riscontrata una predisposizione legata al sesso. Quali sono i sintomi clinici associati alla malattia renale cronica del gatto? I sintomi clinici in corso di malattia renale cronica variano con il grado e durata della patologia, con la presenza di patologie concomitanti e dalla comparsa o meno di complicazioni sistemiche.Essendo una patologia progressiva, i sintomi clinici a cui fare attenzione, negli stadi iniziali sono assenti o molto lievi mentre tendono a diventare maggiormente manifesti con l’avanzare della malattia.I sintomi clinici più comuni ma poco specifici (ovvero che possono essere causati da altre patologie) includono: Perdita di peso Perdita di appetito Abbattimento Aumento della sete (polidipsia) Aumento della urinazione (poliuria) I sintomi clinici meno comuni o associati agli stadi più gravi/avanzati della malattia includono: Alitosi Vomito Debolezza Può il medico veterinario sospettare durante l’esame fisico la presenza di malattia renale cronica? L’esame fisico di gatti con affetti da malattia renale cronica di stadio iniziale è spesso completamente nella norma.Le alterazioni riscontrabili negli stadi più avanzati o cronici della malattia includono: Scarse condizioni corporee e muscolari Pelo di scarsa qualità Stomatite ed ulcere linguali Alitosi uremica Disidratazione Pallore delle mucose Aumento della pressione sanguigna Riduzione di dimensione dei reni apprezzabile alla palpazione dell’addome Come viene diagnosticata la malattia renale cronica del gatto? Tradizionalmente la diagnosi di malattia renale cronica viene emessa attraverso un esame del sangue con il ritrovamento di un aumento dei livelli ematici di urea e creatinina (due prodotti del metabolismo proteico che vengono eliminati dai reni) e attraverso un esame delle urine con la dimostrazione di urine non adeguatamente concentrate (con peso specifico minore di 1.030). Vista l’alta prevalenza della malattia renale cronica nella popolazione felina geriatrica diventa fondamentale non sottovalutare la comparsa di sintomi vaghi e aspecifici come la perdita di peso o la leggera perdita di appetito in gatti di età superiore a 7 anni. In presenza di questi sintomi o meglio routinariamente in gatti di età maggiore di 7 anni, è consigliabile far visitare il proprio gatto dal vostro veterinario di fiducia che potrebbe richiedere uno screening precauzionale e l’esecuzione di esami del sangue e delle urine per escludere la presenza di malattia renale cronica o, se confermata, permettere una gestione terapeutica mirata che aiuti a prevenire la progressione della malattia. Una volta sospettata o confermata la presenza di malattia renale cronica il veterinario potrà eseguire ulteriori indagini diagnostiche per identificare l’eventuale presenza di cause sottostanti potenzialmente risolvibili e per stadiare la malattia renale cronica stessa (ovvero determinarne la gravità), individuare la presenza di complicazioni sistemiche o la presenza di fattori prognostici negativi. Tra le indagini diagnostiche ulteriori che il veterinario può richiedere vi sono: Profilo emocromocitometrico: per valutare la presenza di anemia significativa, nota complicazione della malattia renale cronica dovuta a una ridotta produzione da parte del rene dell’ormone eritropoietina Profilo biochimico completo (in aggiunta a urea, creatinina e SDMA): per valutare la presenza di iperfosfatemia (aumento della concentrazione di fosforo), ipercalcemia o ipocalcemia (aumento o diminuzione del calcio ematico), ipopotassiemia (diminuzione del potassio ematico) Esame fisico-chimico e del sedimento delle urine: per valutare la presenza di sangue, cristalli, cilindri o batteri o una perdita di proteine con le urine (proteinuria) Esame colturale delle urine: per valutare la presenza di una infezione delle basse vie urinarie o dei reni (pielonefrite), quest’ultima possibile causa di malattia renale cronica Determinazione della tiroxina sierica: l’ipertiroidismo felino è un’altra patologia tipica del gatto geriatrico che può interferire con i test diagnostici della malattia renale cronica e la cui presenza va esclusa sistematicamente oltre i 7 anni di età Diagnostica per immagini: fra le varie procedure di diagnostica per immagini l’ecografia addominale è la metodica di scelta in quanto permette di valutare le dimensioni e architettura dei reni e confermare la presenza di una nefropatia cronica di diversa natura e di valutare il resto dell’apparato urinario e di rilevare la presenza di calcoli renali o ureterali che possono contribuire al danno renale. Quali sono le alterazioni ecografiche tipiche della malattia renale cronica del gatto? In corso di malattia renale cronica i reni possono e perdere la normale distinzione tra la parte più esterna (la corticale) e quella più interna (la midollare) (Fig 1-2), possono presentare la formazione di mineralizzazioni al loro interno, possono apparire ridotti di dimensioni e in alcuni casi estremi possono perdere del tutto la loro architettura come nel caso di tumori o di malattia policistica.Inoltre, l’esame ecografico addominale in un gatto con malattia renale cronica può rivelare segni contestuali di infezione (pielonefriti, Fig. 3) o di urolitiasi (calcoli renali, ureterali). Fig. 1 - Immagine ecografica di un rene normale in cui è possibile la parte esterna (corticale, C) dalla parte interna (midollare, M)Fig. 2 - Ecografia di un gatto con malattia renale cronica avanzata. Si noti la perdita della normale distinzione cortico-midollare (*), l’aspetto irregolare del profilo renale (**) e la lieve quantità di versamento perirenale (freccia).Fig. 3 - Immagine ecografica di un gatto con malattia renale cronica dove si apprezza, tra i rilievi principali, una lieve dilatazione del bacinetto renale compatibile con una infezione batterica renale (pielonefrite). Quali sono le complicazioni note della malattia renale cronica? Tra le complicazioni secondarie alla malattia renale cronica, le più note includono: Anemia cronica secondaria alla ridotta produzione renale dell’ormone eritropoietina. L’anemia se molto grave può peggiorare la qualità di vita del gatto o compromettere la sua sopravvivenza. Alterazione dell’equilibrio acido-base del sangue: l’alterazione dei meccanismi di escrezione e riassorbimento renale in corso di malattia renale cronica può portare a squilibri minerali con conseguente acidificazione del sangue (acidosi metabolica) che se grave può comportare segni clinici importanti. Ipertensione sistemica: la malattia renale cronica può predisporre attraverso diversi meccanismi all’aumento della pressione sanguigna che se grave e non trattata può provocare danno ischemico ai reni stessi ma anche a livello cerebrale, cardiaco e oculare. Qual è la prognosi in corso di malattia renale cronica del gatto? La prognosi di un gatto con malattia renale cronica dipenderà dallo stadio della malattia, dal suo riconoscimento precoce e dal susseguente inizio di una gestione terapeutica adeguata (solitamente multimodale) e dalla eventuale presenza di complicazioni o patologie concomitanti. Nel complesso, se diagnosticata precocemente e trattata adeguatamente la patologia consente al gatto di vivere buona qualità di vita anche nel lungo termine, con un tasso di mortalità < 15%. “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Cosa si intende per urolitiasi? Il termine urolitiasi si riferisce alla presenza di calcoli nell’apparato urinario che va dal bacinetto renale (nefrolitiasi) fino all’uretra (uretrolitiasi) passando per ureteri (ureterolitiasi) e vescica urinaria (urocistolitiasi). Cosa causa l’urolitiasi? Tendenzialmente l’urolitiasi insorge quando le urine diventano eccessivamente sature di minerali che in determinate condizioni chimico-fisiche precipitano, cristallizzano e si aggregano fino a portare alla formazione del calcolo urinario. L’eccessiva saturazione delle urine avviene fondamentalmente per una eccessiva produzione e/o escrezione di determinati minerali nelle urine o per la carenza di sostanze naturalmente inibenti la precipitazione e formazione di cristalli. Diverse sono le cause predisponenti la formazione di calcoli urinari. Tra queste si annoverano difetti genetici, fattori alimentari, malattie metaboliche, malattie endocrine, presenza di detriti cellulari e infezioni del tratto urinario. Come è composto un calcolo urinario? Strutturalmente il calcolo urinario è costituito da un nucleo centrale, costituito da matrice organica, e da un guscio esterno composto da uno o più sali minerali. La percentuale relativa di sali minerali del guscio determina il tipo del calcolo che potrà essere puro, se costituito da 1 solo minerale, o misto se costituito da 2 o più minerali. La composizione del calcolo urinario inoltre determinerà alcune sue caratteristiche intrinseche come la forma e radio-opacità o radio-lucentezza e il numero. Determinare la composizione dei calcoli è fondamentale in quanto permette di identificare la presenza di cause predisponenti e di definire la strategia terapeutica più adatta. Quali sono i tipi di calcolo urinario più comune nel cane e nel gatto? I tipi di calcoli urinari più comuni nel cane e nel gatto sono i seguenti (dai più comuni ai meno frequenti): CALCOLI DI STRUVITE questi calcoli urinari sono composti da cristalli di fosfato idrato di ammonio e magnesio. Si formano in presenza di urine soprasature di ammonio, fosfato e magnesio. Questo può avvenire in corso di infezioni batteriche delle vie urinarie (struvite infezione indotta) o in presenza di urine sterili (struvite sterile). I calcoli urinari di struvite infezione indotta sono più comuni nel cane mentre quelli di struvite sterile sono più comuni nel gatto. I calcoli di struvite possono essere disciolti attraverso una gestione dietetica e medica senza ricorrere a rimozione chirurgica o mininvasiva. Struvite infezione indotta. Si ritrova con maggiore incidenza nei cani di qualsiasi età e nei gatti di età inferiore ad 1 anno o maggiore di 10 anni. Non sembrano esserci nel gatto predisposizioni di razza o sesso al contrario del cane dove sono più colpite le femmine, probabilmente a causa di una maggiore predisposizione allo sviluppo di infezioni urinarie. Infatti, questo tipo di uroliti sono associati a infezioni delle vie urinarie ad opera di batteri ureasi produttori come Staphylococcus spp, Enterococcus spp, e Proteus spp. Struvite sterile. Colpisce soprattutto gatti di età compresa tra gli 1 e i 10 anni, senza predisposizione di sesso. Sono stati individuati alcuni fattori predisponenti alla formazione di questi calcoli, tra cui la somministrazione di diete ad alto contenuto in magnesio, predisposizione genetica individuale da soggetto a soggetto e urine con pH alcalino (pH>7). Anche il ridotto consumo di acqua e un minor volume di urine prodotte sembrano predisporre la formazione dei calcoli. CALCILI DI OSSALATO DI CALCIO Questi calcoli urinari rappresentano circa il 40-50% di tutti gli uroliti del cane e del gatto. Alcune razze di cani e gatti sembrano essere predisposte. Nel cane, razze di piccola taglia come lo Schnauzer nano, lo Shih-tzu e lo Yorkshire terrier sono particolarmente predisposte. Nel gatto, il Persiano, l’Himalaiano e il Burmese sono sovrarappresentati. Due fattori di rischio per la formazione di calcoli di ossalato di calcio sono l’elevata concentrazione di ossalato e calcio nelle urine e la produzione di urine acide (con pH urinario < 6.6). Gli uroliti di ossalato di calcio non possono essere dissolti mediante terapia medica, pertanto l’approccio chirurgico o la retropulsione in vescica rappresentano l’unico approccio possibile. Inoltre, questo tipo di uroliti ha la tendenza a recidivare. CALCOLI DI AMMONIO DI URATO Questi calcoli urinari rappresentano la terza tipologia di uroliti più frequentemente riscontrata nel cane e nel gatto. Questi calcoli formano in presenza di urine soprasature di cristalli di urato e ammonio, che a loro volta si formano in presenza di elevate concentrazioni di acido urico nelle urine. Alcune razze di cane come il Dalmata e il Bulldog Inglese sono geneticamente predisposte alla eccessiva produzione ed escrezione di acido urico nelle urine e quindi alla formazione di cristalli e calcoli di urato d’ammonio.Un altro fattore predisponente la formazione di questi calcoli è la presenza di patologie del fegato con insufficienza d’organo (come accade nel caso di anomalie vascolari epatiche congenite). La dissoluzione medica di questi uroliti in concomitanza a patologie epatiche non è possibile la risoluzione chirurgica rimane l’unica scelta nei pazienti sintomatici. Nei casi di urolitiasi in assenza di patologia epatica la dissoluzione medica può essere tentata. CALCOLI DI CISTINA Questi calcoli urinari si riscontrano in cani e gatti affetti da cistinuria, un disordine metabolico congenito caratterizzato da un’eccessiva escrezione di cistina (insieme ad altri aminoacidi come lisina, ornitina e arginina) nelle urine. Non sono riportate predisposizioni di razza o sesso, ma i gatti Siamesi sembrano essere più colpiti. Come per i calcoli di struvite, anche in questo caso la dissoluzione mediante terapia dietetica e medica è possibile così come è possibile prevenirne la futura formazione. Quali sono i sintomi clinici che possono far sospettare l’urolitiasi nel cane e nel gatto? Il corredo sintomatico in corso di urolitiasi dipenderà dalla localizzazione del calcolo nell’apparato urinario, da numero e dimensioni, dalla insorgenza di ostruzione delle vie urinarie alte (es. ureteri) o basse (uretra) e dalla presenza o meno di fattori predisponenti come, ad esempio, l’infezione delle vie urinarie. Il sospetto di urolitiasi può insorgere in seguito alla comparsa di segni clinici a carico delle vie urinarie quali: Ematuria (presenza di sangue nelle urine) Pollachiuria (aumento del numero delle urinazioni) Stranguria (urinazione dolorosa) Disuria (urinazione difficoltosa) È importante ricordare che tali sintomi, sebbene riscontrabili in corso di urolitiasi, non sono specifici per tale patologia e che l’urolitiasi può insorgere in assenza di sintomi clinici. Pertanto, è necessario conoscerne l’esistenza, la predisposizione di razza (soprattutto nel cane) e eseguire un iter diagnostico specifico al fine di confermarne la presenza, stabilirne la natura, la localizzazione e l’estensione e di valutare la presenza di avvenuta o prossima ostruzione delle vie urinarie e di cause sottostanti/predisponenti. Come posso confermare la diagnosi di urolitiasi nel cane e nel gatto? La conferma della presenza di calcoli urinari solitamente avviene mediante tecniche di diagnostica per immagini che permettono, inoltre, di definirne localizzazione, dimensione, forma, densità e numero. In aggiunta l’esame delle urine aiuta a definire la natura del calcolo urinario e a identificare la presenza di fattori predisponenti.Gli esami ematici di laboratorio sono altresì importanti nel valutare la presenza di una patologia sottostante che può aver favorito l’insorgenza dell’urolitiasi e che andrà trattata per ottimizzare la gestione terapeutica del calcolo urinario. Inoltre, gli esami ematici permettono di valutare l’insorgenza di insufficienza renale secondaria a ostruzione delle vie urinarie o infezione renale secondaria alla presenza di un calcolo. La radiografia addominale è in genere il primo strumento diagnostico utile per individuare la presenza di calcoli radiopachi (con composizione tale da renderli visibili radiograficamente) come quelli di struvite e ossalato di calcio (Fig. 1). Nel caso di uroliti radiolucenti (non visibili radiograficamente) o di piccole dimensioni (minoridi 3 mm) saranno necessarie altre metodiche diagnostiche come la radiografia con mezzo di contrasto, sia positivo che negativo, o l’ecografia. Fig. 1 ed immagine di copertina - Radiografia addominale di un cane che evidenzia la presenza di numerosi calcoli (freccia) radio-opachi rotondeggianti e di dimensioni variabili all’interno della vescica urinaria. L’esame del sedimento urinario ha in seguito confermato la presenza di numerosi cristalli di struvite.L’esame ecografico permette di valutare non solo la presenza e localizzazione dei calcoli ma anche di determinare la presenza di avvenuta o prossima ostruzione di un tratto dell’apparato urinario (Fig. 2).Fig. 2 - Immagine ecografica addominale in un cane maschio intero che evidenzia la presenza di un calcolo urinario (freccia) all’interno della uretra prostatica.L’esame del sedimento urinario è particolarmente utile nei pazienti in cui si sospetta o è stata riscontrata la presenza di un calcolo urinario.L’esame del sedimento urinario può rilevare la presenza di cristalli di diverso tipo (Fig. da 3 a 7) che può indicare la presenza di calcoli urinari e può aiutare a stabilire la natura del calcolo stesso, fondamentale per l’impostazione di una terapia mirata. Tuttavia, va precisato che il riscontro di cristalli all’esame del sedimento urinario non equivale a una diagnosi certa di urolitiasi così come l’assenza di cristalli urinari all’esame del sedimento urinario non esclude la presenza di calcoli urinari. Foto 3 - Cristalli di StruviteFoto 4 - Cristalli di Ossalato di Calcio diidratoFoto 5 - Cristalli di Ossalato di Calcio monoidrato (forma più rara)Foto 6 - Cristalli di Urato di AmmonioFoto 7 - Cristalli di CistinaL’esame fisico-chimico delle urine permette di determinare il peso specifico urinario e il pH fornendo importanti informazioni sulla probabile composizione chimica del calcolo urinario. Ad esempio, il ritrovamento di un pH delle urine < 7.0 potrebbe indicare che i calcoli ritrovati radiograficamente saranno di ossalato di calcio o cistina, in quanto questi richiedono un ambiente acido per precipitare e aggregarsi. Al contrario, il ritrovamento di un pH delle urine > 7.0 (alcalino) potrebbe indicare che i calcoli sono di struvite. Infine, l’esame colturale delle urine è utile per identificare la presenza di batteri ureasi-produttori in grado di alcalinizzare le urine e facilitare la formazione di uroliti di struvite (infezione indotta). In aggiunta, infezioni batteriche possono insorgere secondariamente alla presenza di calcoli urinari contribuendo ai sintomi clinici e complicando la gestione dell’urolitiasi.“Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Che cosa si intende per pancreatite del gatto? La pancreatite del gatto è un processo infiammatorio a carico del pancreas esocrino. Il pancreas è un organo addominale situato in prossimità dell’intestino del tenue che, da un punto funzionale, viene distinto in due parti: una endocrina ed una esocrina. La parte endocrina è costituita da cellule specializzate organizzate in isolotti (cosiddetti del Langherans) che producono una serie di ormoni immessi in circolo per influenzare l’attività di diversi organi. Tra questi ormoni spicca l’insulina, l’ormone deputato al controllo dei livelli ematici di glucosio. La parte esocrina del pancreas (quella colpita dalla pancreatite) è invece costituita da cellule epiteliali organizzate in acini la cui funzione principale è quella di sintetizzare e rilasciare nell’intestino tenue diverse sostanze, dette enzimi, in grado di permettere la digestione dei principali macronutrienti della dieta ovvero carboidrati, lipidi e proteine. In corso di pancreatite del gatto il pancreas esocrino viene infiltrato da cellule del sistema immunitario di diverso tipo (neutrofili, linfociti e plasmacellule). Questo comporta un danno alle cellule epiteliali con la perdita di enzimi digestivi all’interno del pancreas stesso con conseguente danno tissutale che può estendersi agli organi adiacenti al pancreas (intestino, fegato e vie biliari) e al grasso addominale circostante. Quanti tipi di pancreatite esistono nel gatto? La pancreatite del gatto viene distinta in acuta e cronica. Quest’ultima di gran lunga più frequente. La distinzione tra la forma acuta e cronica della malattia da un punto di vista clinico, di laboratorio e diagnostico non è sempre facile in quanto le due forme possono essere perfettamente sovrapponibili. In questi casi, la distinzione può essere fatta solo attraverso l’ausilio dell’esame istologico su biopsie pancreatiche e la dimostrazione o meno di rilievi tipici della infiammazione cronica. Detto questo, le forme acute gravi sono facilmente riconoscibili per la rapida insorgenza e la gravità del quadro clinico rispetto all’insorgenza più lenta e subdola della pancreatite cronica. Cosa causa la pancreatite del gatto? La causa esatta della pancreatite è sconosciuta. Nel gatto non sono state riportate predisposizioni di razza, sesso o età. Nel 95% dei casi non viene identificato un fattore scatenante per cui la patologia viene definita idiopatica. Nel caso della pancreatite cronica si sospetta una disfunzione del sistema immunitario con un ruolo giocato dalla flora batterica intestinale in grado di colonizzare il pancreas e stimolare una risposta aberrante del sistema immunitario. Nel caso della pancreatite acuta si assiste a un’attivazione precoce degli enzimi pancreatici ancora all’interno del tessuto pancreatico, con conseguente danno tissutale e richiamo di cellule infiammatorie. Alcuni fattori sono stati proposti come potenzialmente predisponenti di pancreatite acuta: Diete ricche di grassi. Si è vista in alcuni casi che vi è maggiore incidenza di pancreatite nei gatti in sovrappeso o sottoposti a diete con alto contenuto di grassi. Infezioni sostenute da protozoi (Toxoplasma gondii) o virus (parvovirus felino, coronavirus, herpesvirus e calicivirus). Anestesia generale prolungata con calo pressorio e riduzione della perfusione sanguigna e danno ischemico al pancreas. Traumi Manipolazione chirurgica del pancreas o del duodeno (annesso al pancreas) Quali sono i segni clinici di pancreatite nel gatto? I segni clinici riportati in corso di pancreatite nel gatto sono piuttosto aspecifici e possono essere presenti in entrambe le forme acuta e cronica della patologia. Il corredo sintomatico dipenderà dalla durata e gravità della malattia, dalla presenza di patologie concomitanti (ad esempio a carico del fegato, delle vie biliari e dell’intestino) e dalla presenza di complicazioni (ad esempio la sindrome della lipidosi epatica). I sintomi più comunemente riportati dal proprietario includono: Anoressia più o meno prolungata (forma acuta e cronica) Letargia (forma acuta) Sintomi gastrointestinali come nausea, ipersalivazione, vomito, diarrea (forma acuta e cronica) Perdita di peso (forma cronica) Quali sono i rilievi riscontrati all’esame fisico nei gatti con pancreatite? I rilievi dell’esame fisico in gatti con pancreatite dipenderanno anche in questo caso dalla durata e gravità della malattia, dalla presenza di patologie concomitanti e/o di complicazioni. I rilievi possibili includono: Depressione/letargia (forma acuta > cronica) Condizioni corporee scadenti (forma cronica) Disidratazione (forma acuta e cronica) Febbre (forma acuta) Ittero (colorazione giallastra delle sclere e delle mucose, forma acuta) Dolore addominale (forma acuta) Come si effettua diagnosi di pancreatite nel gatto? Per la diagnosi definitiva di pancreatite del gatto e la distinzione tra forma acuta e cronica può essere effettuata solo tramite esame istologico su biopsie di pancreas raccolte per via laparoscopica o chirurgica. La presenza di necrosi tissutale (forma acuta) o fibrosi con perdita di tessuto (forma cronica) e il grado e tipologia di infiltrato infiammatorio (neutrofili nella forma acuta ma linfocitici e plasmacellule nella forma cronica) permettono la diagnosi definitiva. Tuttavia, viste la relativa invasività della procedura, le condizioni cliniche spesso poco stabili dei gatti affetti (forma acuta) e per la presenza di forme subcliniche o paucisintomatiche l’esame istologico viene raramente eseguito. In questo caso la diagnosi rimarrà presunta con un grado di affidabilità variabile ed il Medico Veterinario potrà basarsi sull’integrazione di sintomi clinici, esame fisico, esami di laboratorio (di base e specifici) ed ecografia addominale. Esami di laboratorio di base. Le alterazioni in corso di pancreatite del gatto sono aspecifiche e in comune a diverse patologie per cui non permettono di emettere una diagnosi presunta. Il ruolo di questi esami è principalmente quello di valutare la gravità del quadro clinico, la presenza di patologie concomitanti e/o la presenza di eventuali fattori prognostici negativi. Possibili rilievi, soprattutto nella forma acuta di pancreatite, includono anemia, riduzione o aumento dei globuli bianchi, riduzione del glucosio, riduzione di elettroliti come sodio, potassio e calcio, aumento dei valori epatici e di bilirubina quest’ultima indicativa di una possibile ostruzione delle vie biliari. Test specifici di infiammazione pancreatica. Questi test includono la lipasi pancreatica specifica e la DGGR lipasi che fungono da marker indiretto di infiammazione pancreatica. Infatti, quando il pancreas è infiammato o danneggiato, le vescicole contenenti gli enzimi pancreatici (inclusa la lipasi) si rompono e il loro contenuto viene riassorbito dal circolo ematico permettendo la loro misurazione. Ecografia addominale. Questa è la modalità di diagnostica per immagini di scelta per la diagnosi presunta di pancreatite ed è superiore alla radiografia (Figura 1).L’esame ecografico permette di valutare non solo il pancreas ma anche quegli organi spesso coinvolti da processi patologici in corso di pancreatite come fegato, vie biliari e intestino.Inoltre, se eseguita da operatori esperti è possibile distinguere la forma acuta da quella cronica.Infine, l’ecografia permette di raccogliere dei campioni cellulari di pancreas (per ago infissione) da sottoporre all’esame citologico con la possibilità permettere di raggiungere una diagnosi più affidabile di pancreatite del gatto. Figura 1 - Radiografia addominale di un gatto con pancreatite acuta grave. Si apprezza la perdita di dettaglio nell’addome craniale nella regione del pancreas (freccia) causata dalla reattività del grasso e dei tessuti circostanti il pancreas. Nella pancreatite cronica il pancreas risulta ridotto di dimensioni, fibrotico e può mostrare una dilatazione del dotto pancreatico.Nella pancreatite acuta il pancreas appare aumentato di volume, rigonfio e i tessuti e il grasso circostanti risultano reattivi. Inoltre, è possibile riscontrare la presenza di liquido libero addominale dovuto all’infiammazione (Figura 2). Figura 2 - Immagine ecografica di pancreatite acuta nel gatto. È presente reattività del grasso circostante il pancreas (freccia gialla). Quest’ultimo appare aumentato di volume e edematoso (freccia rossa).Qual è la prognosi di pancreatite nel gatto? La prognosi in corso di pancreatite del gatto dipenderà da diversi fattori come forma, gravità, presenza di patologie concomitanti e/o di complicazioni. Quest’ultime sono più comuni in corso di pancreatite acuta grave e includono disturbi della coagulazione con sanguinamenti spontanei, sepsi, insufficienza del fegato associata a infarcimento di grasso (lipidosi epatica) danno acuto multiorgano (reni, fegato, polmoni), ostruzione delle vie biliari e comparsa di diabete mellito. Nei casi più gravi la prognosi è riservata e il rischio di mortalità è elevato (fino al 40%). I gatti con pancreatite acuta di grado lieve-moderata o cronica hanno invece una prognosi migliore con rischio di mortalità basso. Complicazioni della pancreatite cronica includono malnutrizione e progressiva perdita di funzione esocrina del pancreas (insufficienza del pancreas esocrino, EPI), quest’ultima sottovalutata e di conseguenza sotto-diagnosticata.“Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Che cos’è il collasso tracheale del cane? Il collasso tracheale è una patologia cronica, progressiva e irreversibile che colpisce la trachea del cane. La trachea è la porzione dell’apparato respiratorio che mette in comunicazione le vie aeree superiori (cavità nasali, rino-faringe e laringe) con quelle inferiori all’interno dei polmoni (bronchi principali e secondari, bronchioli e alveoli). La trachea ha una forma tubulare ed è costituita da una serie di strutture cartilaginee elastiche a forma di C (con la parte aperta della C diretta verso l’alto), chiamate anelli tracheali, ricoperte dorsalmente da una membrana elastica (che completa la C dell’anello tracheale). Questa struttura le conferisce rigidità, resistenza e una certa flessibilità che permettono il passaggio di aria ai e dai polmoni durante le fasi della respirazione e l’attività fisica. Internamente, la trachea è rivestita da uno strato di cellule munite di ciglia che permettono l’espulsione di impurità dalle vie respiratorie inferiori. Se gli anelli tracheali perdono la loro normale conformazione e rigidità tendono a indebolirsi e diventare più piatti (collasso tracheale) causando una vera e propria ostruzione dinamica al flusso d’aria. Questa deformazione può manifestarsi in forme più o meno gravi ed essere associata o meno alla concomitante alterazione dei bronchi principali (Foto 1). Foto 1. - Classificazione dei diversi gradi di collasso tracheale nel cane in base alla percentuale di riduzione del calibro interno. Cosa causa il collasso tracheale nel cane? Nella maggior parte dei casi il collasso tracheale è dovuto ad una degenerazione cronica e progressiva nel tempo degli anelli tracheali che perdono la loro elasticità appiattendosi su loro stessi e ostruendo il lume (cavità interna) della trachea. Questa forma di collasso tracheale colpisce cani in età media-avanzata. Più raramente, il collasso tracheale è causato da una malformazione congenita degli anelli tracheali che appaiono deformati e meno elastici con conseguente riduzione del calibro interno della trachea. Questa forma di collasso tracheale si manifesta in età giovanile. Quali sono fattori predispongono al collasso tracheale nel cane? La causa esatta della patologia è sconosciuta. Tuttavia, diversi sono i fattori riportati come predisponenti o contribuenti al collasso tracheale e diversi sono i disturbi presenti in associazione al collasso tracheale nel cane. I più importanti di questi sono: Predisposizione genetica (di razza): il collasso tracheale è quasi esclusivamente riportato in razze di piccola taglia o toy. Particolarmente predisposti sono lo Yorkshire terrier, il Volpino di Pomerania, il Chihuahua, il Barboncino e il Maltese. Obesità Patologie cardiache Malattie del cavo orale Inalazione di sostanze irritanti Infezioni delle vie respiratorie Quali sono i sintomi tipici del collasso tracheale nel cane? I sintomi del collasso tracheale variano a seconda della gravità della patologia e della presenza di complicazioni o patologie concomitanti (come cardiopatie o broncopatie croniche). Il segno clinico più frequente nei cani con collasso tracheale è la tosse. Quest’ultima è secca, profonda (“a verso d’anatra”) e spesso parossistica (in accessi violenti). La tosse solitamente peggiora con l’eccitamento, lo stress, l’esercizio fisico o con il caldo. Nelle forme più gravi di collasso tracheale i cani affetti possono presentare intolleranza all’esercizio fisico, abbattimento e improvvisa difficoltà respiratoria. Quali sono le complicazioni del collasso tracheale? Nei casi più gravi o trascurati, il collasso tracheale può indurre una insufficienza respiratoria con cianosi, ipertensione polmonare con sincope (svenimento) e insufficienza del cuore destro. Se non riconosciute e prontamente trattate queste complicazioni possono diventare fatali. Come viene emessa la diagnosi di collasso tracheale nel cane? Il sospetto di collasso tracheale viene emesso in cani di razza ed età a rischio in presenza di sintomi clinici compatibili. La diagnosi definitiva prevede la dimostrazione dell’appiattimento degli anelli tracheali, la determinazione della gravità (percentuale di collasso), la sua localizzazione a un tratto o a tutta la tracheale (collasso segmentale vs diffuso) e la dipendenza o meno dalle fasi respiratorie (collasso dinamico vs collasso statico). Le indagini diagnostiche che il Medico Veterinario potrà richiedere sono la radiografia, l’endoscopia e la fluoroscopia (Foto 2). Foto 2. - Radiografia toracica laterale in un cane Pinscher di 5 anni con collasso tracheale cervicale di IV grado e intratoracico di II grado (freccia rossa). Si noti il grave restringimento del calibro tracheale che in condizioni normali dovrebbe apparire come un tubo omogeneo radiotrasparente (ovvero nero per la presenza di aria). Di queste procedure diagnostiche, l’endoscopia delle vie aeree rappresenta l’esame più completo in quanto permette di valutare l’estensione del collasso tracheale (se diffusamente interessata o solo una porzione), la gravità (intesa come percentuale di restringimento del lume tracheale) e il tipo di collasso (Foto 3).L’endoscopia permette altresì di identificare patologie delle basse vie respiratorie spesso concomitanti, quali broncopatie croniche, collasso bronchiale e broncomalacia. Foto 3 e in copertina - Vista endoscopica della trachea cervicale in un cane Chihuahua di 12 anni con grave collasso tracheale (IV grado) del tratto cervicale. Le pareti del lume tracheale collassano a tal punto da toccarsi, creando una grave ostruzione al flusso d’aria (immagini endoscopiche per gentile concessione del Dott. Davide De Lorenzi esperto MYLAV). Quali sono le terapie per il collasso tracheale? La terapia del collasso tracheale che il Veterinario potrà prescrivere dipenderà dal grado e tipo di collasso e dalla presenza o meno di patologie concomitanti e complicazioni. Spesso, si tratta di una terapia multimodale che include sia la riduzione o meglio eliminazione dei fattori predisponenti, che una terapia farmacologica (antinfiammatori, farmaci antitussivi e tranquillanti). Nei casi più gravi il Medico Veterinario potrà consigliare l’applicazione di uno stent (divaricatore) all’interno della trachea (Foto 4). Foto 4 - Radiografia laterale dello stesso cane della foto 2 dopo l’applicazione di uno stent endotracheale (frecce rosse) nel tratto cervicale e toracico. Da notare come, grazie allo stent, venga ottenuto il ritorno a un calibro normale del lume endotracheale. Il collasso tracheale è una malattia progressiva per cui la terapia ha lo scopo di controllare i sintomi clinici ed evitare o ritardare eventuali complicazioni per consentire una qualità di vita adeguata. “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Che cosa è la malattia mixomatosa della valvola mitrale? La malattia mixomatosa della valvola mitrale è una patologia acquisita causata, come dice il nome stesso, da una degenerazione della valvola mitrale, ovvero della valvola cardiaca che si trova tra il ventricolo e l’atrio di sinistra. Esistono dei fattori di rischio per lo sviluppo di questa malattia cardiaca? Questa patologia è molto diffusa nella specie canina (rappresenta circa il 70-80% delle cardiopatie acquisite in questa specie), in particolare di età adulta-anziana. Le razze maggiormente colpite sono quelle di piccola/media taglia, tra cui spiccano a causa di una predisposizione genetica il Cavalier King Charles Spaniel (in questa razza questa patologia può comparire anche in giovane età) ed il Bassotto, ma anche i cani di taglia grande possono essere colpiti, tra cui in particolare ricordiamo il Pastore Tedesco. I cani di sesso maschile sembrano essere maggiormente predisposti allo sviluppo di tale malattia. La valvola atrio-ventricolare maggiormente colpita dalla degenerazione mixomatosa è la valvola mitrale, ma la patologia può presentarsi anche a carico della valvola tricuspide, che separa il ventricolo destro e l’atrio destro, o contemporaneamente su entrambe. Che cosa succede a livello cardiaco? La valvola mitrale, come abbiamo detto, si trova anatomicamente tra l’atrio e il ventricolo sinistro. In condizioni fisiologiche, ovvero di normalità, le valvole atrio-ventricolari (valvola mitrale e tricuspide) si aprono durante la fase di diastole ventricolare per consentire il passaggio di sangue dall’atrio al ventricolo, mentre queste valvole si chiudono durante la fase di sistole ventricolare, consentendo al sangue di essere mandato in circolo dai ventricoli, evitando in tal modo un passaggio retrogrado di sangue dal ventricolo all’atrio. In pazienti affetti dalla degenerazione mixomatosa valvolare si ha inizialmente un ispessimento dei lembi della valvola stessa, che causa una irregolarità anatomica, conseguente chiusura non più adeguata dei lembi ed insorgenza di flusso retrogrado dal ventricolo verso l’atrio sinistro, durante la sistole ventricolare, definito “insufficienza valvolare” o “rigurgito”. Proprio da ciò la degenerazione mixomatosa della valvola mitrale viene talvolta definita “insufficienza della valvola mitralica”. Quanto è grave se il mio cane ha la malattia mixomatosa della valvola mitrale? La gravità della malattia degenerativa mitralica varia in base all’entità del rigurgito ed al conseguente rimodellamento cardiaco. Nelle fasi iniziali della patologia, in presenza di un rigurgito mitralico di piccola entità, i settori sinistri (atrio e ventricolo) riescono a tollerare bene il jet di insufficienza valvolare e non presentano nessun segno di sovraccarico e quindi rimodellamento, perciò sarà differente solo la morfologia dell’apparato valvolare interessato. Le alterazioni valvolari possono però progredire con il tempo (tale patologia per definizione è una malattia progressiva), favorendo un aumento della quota di rigurgito mitralico. Ciò crea un sovraccarico con conseguente dilatazione atriale e ventricolare sinistra. Durante questa fase della malattia, l’organismo attiva una serie di meccanismi di compenso necessari a mantenere un corretto apporto di sangue ossigenato ai tessuti periferici dell’organismo. Nelle fasi avanzate, il sovraccarico volumetrico, in particolare a livello atriale sinistro, è tale da comportare un aumento delle pressioni venose polmonari e predisporre il paziente all’insorgenza dello scompenso cardiaco, solitamente manifesto con edema polmonare. L’ACVIM (American College of Veterinary Internal Medicine) ha proposto una classificazione dei pazienti affetti da malattia mixomatosa della valvola mitrale, che si basa su parametri clinici e riscontri dei test diagnostici. I cani affetti da malattia mixomatosa della valvola mitrale vengono suddivisi in 5 classi, che vanno dalla A, in cui sono inclusi i cani appartenenti a razze geneticamente predisposte alla malattia, ma che al momento dell’esame ecocardiografico non la presentano (esempio tipico i Cavalier King Charles Spaniel), fino alla classe D, in cui vengono inclusi i soggetti che presentano sintomatologia clinica e che hanno presentato o presentano segni di scompenso cardiaco, refrattari alla terapia medica. Come posso sospettare che il mio cane è affetto da malattia mixomatosa della valvola mitrale? Grazie ai meccanismi di compenso che l’organismo mette in atto, i cani affetti da questa malattia possono non avere nessun sintomo per lungo tempo. Il Medico Veterinario può sospettarne la presenza in seguito alla visita clinica. I sintomi clinici più spesso riscontrati in corso di malattia mixomatosa della valvola mitrale sono: - Intolleranza all’esercizio: il cane si affatica più facilmente del solito, vuole giocare o correre di meno, presenta un aumento della frequenza respiratoria non proporzionata al tipo di esercizio. - Aumento della frequenza respiratoria: nei soggetti in cui si rileva una frequenza respiratoria maggiore di 30 atti respiratori al minuto in condizioni di assoluto riposo, è indicato un consulto con il proprio Medico Veterinario. - Debolezza/astenia: il cane è riluttante a compiere attività a lui routinarie, si presenta debole, senza forze. - Tosse: secondo gli studi più recenti questo sintomo è solo raramente causato da una problematica cardiaca primaria, mentre nella maggior parte dei casi la causa primaria è da ricercarsi nell’apparato respiratorio. Detto ciò, un problema cardiaco moderato-grave potrebbe agire da concausa od essere un fattore aggravante la sintomatologia clinica. - Dimagrimento: le patologie cardiache in fase molto avanzata portano a dimagramento del paziente fino ad arrivare ad una cachessia cardiaca, con riduzione fino a perdita della massa grassa e muscolare. - Sincope: la sincope è un’improvvisa perdita di coscienza con perdita della postura, seguita da un risveglio spontaneo in assenza di alterazioni; tra le cause della sincope vanno sicuramente annoverate le malattie cardiache, e tra queste la malattia mixomatosa della valvola mitrale solitamente in fase avanzata. Nelle fasi avanzate della patologia il cane potrebbe presentare segni di difficoltà respiratoria (dispnea), con un aumento significativo della frequenza respiratoria, segni di “fame d’aria” con testa estesa sul collo e respiro con reclutamento orale, ovvero a bocca aperta, dovuti all’insorgenza dello scompenso cardiaco. È importante riconoscere questi segni clinici in quanto ci si trova di fronte ad un’emergenza, che deve essere tempestivamente valutata da un Medico Veterinario. Il proprietario svolge quindi un ruolo essenziale nella valutazione del proprio animale, per valutare la presenza dei sintomi clinici sopra elencati ed in caso di comparsa di uno di questi è sempre indicato contattare il proprio Medico Veterinario. Come viene diagnosticata? La diagnosi consiste in un insieme di valutazioni: - La storia clinica del nostro animale e tutte le informazioni che ci riporta il proprietario sono per il Medico Veterinario sempre il punto di partenza. - Auscultazione cardiaca durante la visita clinica: solitamente è udibile un soffio cardiaco, nell’area di proiezione della valvola mitrale, di intensità variabile. - Studio radiografico del torace: con questa indagine diagnostica è possibile valutare la dimensione della silhouette cardiaca nel complesso, così come l’eventuale aumento di una delle camere cardiache, tra cui dell’atrio di sinistra; vengono inoltre esaminati i campi polmonari e nello specifico la vascolarizzazione polmonare e la presenza di eventuali infiltrati. - Elettrocardiografia: consente di valutare il ritmo cardiaco e la presenza di eventuali aritmie. - Ecocardiografia: l’esame ecocardiografico ha lo scopo di confermare il sospetto diagnostico, di emettere una diagnosi di certezza, di stadiare la malattia cardiaca, ad esempio valutando la presenza o meno del rimodellamento cardiaco, e di seguirne l’andamento nel tempo. Quale è la terapia? La necessità di impostare una terapia cardiologica varia in base allo stadio della malattia e si tratta sempre di una terapia medica. La scelta terapeutica in questi pazienti verte sull’utilizzo di tre categorie principali di farmaci, a cui ne potranno essere aggiunti altri, in base all’evoluzione della patologia. In Italia e nel mondo negli ultimi anni si stanno studiando diversi approcci chirurgici a tale malattia cardiaca, ma al momento non è considerata una procedura routinaria (ad esempio, al contrario di alcune procedure interventistiche mininvasive per patologie cardiache congenite del cane) né di prima scelta per un cane affetto da questo tipo di patologia. Quali sono le complicanze della malattia mixomatosa della valvola mitrale? L’evoluzione della malattia mixomatosa della valvola mitrale è influenzata dalla possibile concomitante comparsa di complicanze, quali: L’ipertensione polmonare, il cui sviluppo è legato ad un aumento cronico delle pressioni nell’atrio di sinistra e di conseguenza nel circolo polmonare. La rottura di una o più corde tendinee è un’altra complicanza molto frequente. Tale evenienza può anche coincidere con la comparsa di una severa ed acuta sintomatologia clinica nel cane. Le aritmie sono estremamente frequenti in corso di malattia mixomatosa della valvola mitrale; i cani di grossa taglia sono più predisposti a questo tipo di complicanza. Infine la rottura dell’atrio di sinistra rappresenta sicuramente la complicazione più severa nel cane. Questo evento è spesso fatale. Quale è la prognosi? Il tempo di sopravvivenza di un soggetto affetto da malattia mixomatosa della valvola mitrale dipende da una serie di fattori, che vanno dalla razza, età in cui compare la patologia e viene emessa la diagnosi, considerando inoltre tutta una serie di parametri clinici, radiografici ed ecocardiografici. Non è possibile definire quale sarà la progressione della patologia nel singolo paziente, ci sono tuttavia in letteratura degli studi che possono aiutare a stimare, a seconda del quadro clinico che il Medico Veterinario sta esaminando, quale può essere l’aspettativa di vita del soggetto, in assenza di complicanze cardiologiche o di altri organi o apparati. In copertina: cane, immagine ecocardiografica di cuore con malattia mixomatosa della valvola mitralica. “Med. Vet., Med Vet, GPCert in Cardiologia - (Cardiologia)”Dr.ssa Marta ClarettiAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Cosa si intende per costipazione nel gatto? Per costipazione si intende una riduzione nella frequenza della defecazione e/o un aumento della consistenza delle feci. La costipazione può o meno essere associata a defecazione dolorosa (dischezia) o a uno sforzo di defecazione eccessivo (tenesmo). In casi molto gravi e/o protratti non tempestivamente gestiti, la costipazione può sfociare nella totale assenza di defecazione che viene chiamata obstipazione. L’obstipazione a sua volta se non gestita può portare alla comparsa di una condizione chiamata megacolon (vedere di seguito). Esistono dei fattori predisponenti alla costipazione nel gatto? Diversi sono i fattori che possono contribuire all’insorgenza di costipazione nel gatto. Tra questi si considerano: l’obesità e la mancanza di attività fisica che sono molto prevalenti nei gatti sterilizzati o che vivono indoor e svolgono una vita sedentaria l’ingestione di pelo che se conglomerato (tricobezoario) può comportarsi come un corpo estraneo e rallentare il transito intestinale una dieta povera di fibre tutte le patologie che causano disidratazione e quindi aumento della consistenza fecale come ad esempio la malattia renale cronica o l’ipertiroidismo felino. la presenza di masse o corpi estranei all’interno del lume intestinale la presenza di masse extra-intestinali che comprimono dall’esterno il colon fratture pelviche ossee male allineate l’assunzione di alcuni farmaci (es. idrossido di alluminio, vincristina) l’ipopotassiemia (livelli ematici bassi di potassio) Cos’è il megacolon del gatto? Per megacolon si definisce una grave dilatazione con perdita di funzionalità e motilità del colon. Il colon è il tratto principale del grosso intestino, situato tra cieco e retto, che svolge le principali funzioni di assorbimento di acqua e minerali dalle ingesta (colon ascendente e trasverso) e di accumulo e evacuazione delle feci (colon discendente). Come già spiegato, il megacolon può insorgere come complicazione di una grave protratta costipazione e susseguente obstipazione (assenza di defecazione). Quali sono le cause di megacolon nel gatto? Il megacolon è una patologia relativamente rara ma più frequente nella specie felina rispetto a quella canina. Viene classificato in megacolon primario (anche detto idiopatico), quando una causa sottostante non viene identificata - il che si verifica in circa il 60% dei casi, e megacolon secondario quando insorge come conseguenza di cause e patologie originate al di fuori del colon. Le cause più comuni di megacolon secondario nel gatto includono: Stenosi (restringimento) del canale pelvico secondaria a traumi pregressi o fratture pelviche mal allineate Patologie neuro-muscolari con perdita riduzione o perdita della motilità del colon Masse o lesioni occupanti spazio extra-intestinali che comprimono sulla parete del colon Malformazioni congenite a carico dello sfintere anale o della colonna coccigea Quali gatti sono a maggior rischio di sviluppare megacolon? Il megacolon può colpire gatti di qualsiasi razza, sesso ed età. Il segnalamento dei gatti con megacolon dipenderà dalla causa/patologia sottostante nel caso del megacolon secondario.Tuttavia alcuni studi sul megacolon idiopatico hanno mostrato una maggiore prevalenza nei gatti di media età (circa 6 anni) e di sesso maschile (70%). Il megacolon idiopatico colpisce più frequentemente il gatto comune europeo. Tra le razze pure, quella siamese pare particolarmente predisposta. Quali sono i sintomi clinici associati a megacolon nel gatto? I sintomi clinici più comunemente riscontrati dai proprietari di gatti con megacolon includono eccessivo sforzo durante la defecazione (tenesmo) defecazione difficoltosa/dolorosa (dischezia) defecazione ridotta o addirittura assente tentativi ripetuti ma improduttivi di defecazione Vomito associato a sforzo eccessivo durante la defecazione Abbattimento Perdita di appetito Perdita di peso corporeo Come si fa diagnosi di megacolon nel gatto? Il sospetto di megacolon in un gatto può essere avanzato dal medico veterinario sulla base dei sintomi clinici riportati dal proprietario, della anamnesi pregressa di traumi pelvici o chirurgie addominale e del ritrovamento in sede di esame fisico di un colon diffusamente e gravemente disteso e di consistenza aumentata. Per la conferma diagnostica molto utile è la radiografia addominale che oltre alla valutazione del diametro del colon permette anche di valutare le strutture ossee pelviche (vedere immagine di copertina).Qualora ci fosse il sospetto di lesioni addominali sottostanti il megacolon potrebbe essere utile svolgere indagini come l’ecografia addominale e/o la colonscopia o l’esame di tomografia computerizzata (TAC). Inoltre il Medico Veterinario potrebbe voler eseguire esami di laboratorio completi per valutare la presenza di cause metaboliche di megacolon o di complicazioni associate alla malattia legate a squilibri elettrolitici (es. ipopotassiemia). Nel caso di una sospetta patologia neuromuscolare potrebbero essere necessarie una visita neurologica o l’esecuzione di indagini come una risonanza magnetica. Come si tratta il megacolon del gatto? L’approccio terapeutico del megacolon nel gatto si basa in primis sulla gestione/rimozione di patologie o cause sottostanti e nello svuotamento manuale del colon dalle feci che il veterinario farà mediante clistere e lavaggio del colon con l’ausilio di sonde o cateteri appositi in sedazione o in alcuni casi in anestesia generale per evitare dolore durante la procedura e per ottenere un adeguato rilassamento dello sfintere anale. Inoltre prima di queste procedure il veterinario potrebbe dover reidratare il paziente e correggere gli squilibri elettrolitici (mediante fluidoterapia e integrazione endovenosa). Una volta reidratato il paziente e svuotato il colon dalle feci, il veterinario imposterà una terapia medica multimodale (in aggiunta alla terapia specifica della patologia sottostante se presente) volta a favorire il transito intestinale e lo svuotamento del colon e a prevenire recidive di costipazione. La terapia medica si basa su diete con maggiore contenuto di fibra, lassativi emollienti che facilitano il transito e l’evacuazione delle feci e farmaci procinetici che promuovono la motilità del colon. Scopo delle terapie mediche è anche quello di prevenire recidive di costipazione e/o megacolon nei soggetti particolarmente predisposti. Che opzioni terapeutiche esistono per i casi di megacolon refrattari alla terapia medica o recidivanti? Nei casi di megacolon refrattari alla terapia medica o nel caso di frequenti recidive in corso di terapia medica, l’opzione migliore è la chirurgia di colectomia subtotale. Quest’ultima consiste nell’asportazione del tratto di colon interessato dalla patologia e impattato di feci preservando la valvola ileocolica. Nonostante la rimozione di un tratto più o meno esteso di colon, la maggior parte dei gatti recupera, dopo qualche giorno di diarrea, una normale defecazione. Quali sono le complicazioni del megacolon? Il megacolon se non trattato può esitare in disidratazione grave fino all’insorgenza di uno shock settico come conseguenza di una traslazione batterica intestinale/perforazione intestinale. Queste gravi complicazioni potrebbero mettere a rischio la vita del gatto. Qual è la prognosi di un gatto con megacolon? La prognosi di un gatto con megacolon dipenderà dalla causa sottostante del megacolon, dalla durata e della gravità della malattia. In generale, se il megacolon è responsivo alla terapia medica la prognosi è buona. Nel gatto che effettua la terapia chirurgica di colectomia subtotale la prognosi è favorevole, se è possibile preservare la valvola ileocolica. Immagine di copertina: radiografia dell’addome di un gatto con megacolon. Si noti il rapporto aumentato tra il diametro massimo del colon (c) e la lunghezza del corpo della quinta vertebra lombare (L5). “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Cos’è l’enteropatia proteino-disperdente del cane (PLE)? L’enteropatia proteino-disperdente (PLE) del cane è una sindrome caratterizzata dalla perdita eccessiva di albumine attraverso la mucosa intestinale. La mucosa è lo strato più interno della parete intestinale a contatto con il lume e quindi con i prodotti della digestione. Le cause della enteropatia proteino-disperdente del cane (PLE) sono complesse: l’aumento della permeabilità vascolare intestinale indotta da infiammazione; la perdita di integrità della mucosa intestinale secondaria a erosioni o ulcere di diversa natura; la dilatazione e/o ostruzione dei vasi linfatici intestinali anch’esse secondarie a processi infiammatori o tumorali. Questi meccanismi esitano nella perdita intestinale di proteine, in particolare di albumine, che se grave porta alla riduzione della concentrazione ematica (ipoprotidemia/ipoalbuminemia). Nella letteratura scientifica, da un punto di vista di frequenza, i cani con enteropatia proteino-disperdente del cane (PLE) presentano: nel 65% dei casi malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) nel 50% dei casi una dilatazione dei vasi linfatici (linfangectasia) nel 10% circa dei casi un’infiammazione dei vasi linfatici profondi (linfangite) o una malattia delle cripte della mucosa intestinale nei restanti casi altre malattie infiammatorie croniche intestinali (es. parassitarie) o tumorali (es. linfoma intestinale) Quali razze canine sono a maggior rischio di enteropatia proteino-disperdente ? Diversi studi hanno dimostrato che la PLE è più frequente in alcune razze canine quali Yorkshire Terrier, Cavalier King Spaniel, Cocker Spaniel, Pastore Tedesco, Maltese, Rottweiler e Border Collie. Quali sono i sintomi della enteropatia proteino-disperdente ? I segni clinici di enteropatia proteino-disperdente sono diversi per tipo ed entità ma è importante ricordare che alcuni cani sono asintomatici. I sintomi più frequenti sono: Abbattimento Perdita di appetito Perdita di peso e di condizione corporea Vomito e/o diarrea Dolore addominale Aumento della produzione urinaria e aumento della sete Edema degli arti Versamento addominale e/o pleurico E’ bene preoccuparsi quando il proprio cane presenta i sintomi clinici su indicati, ancora di più se si possiede un cane la cui razza è predisposta a questa patologia. Fig.1 - Cane con Enteropatia proteino disperdente (PLE), si evidenzia perdita di condizione corporea e ipotrofia muscolare diffusa. Cosa fare se il proprio cane presenta questi sintomi ? In questo caso il consiglio è di portare subito a visita il proprio cane da un veterinario che potrà effettuare degli esami preliminare come esami ematologici ed ecografia addominale per approfondire il sospetto ed alcuni esami più specifici (cortisolo basale e esame delle urine) volti ad escludere altre patologie. Il cortisolo basale è un test di screening che è consigliato effettuare nelle enteropatie croniche per escludere una malattia endocrina chiamata morbo di Addison (o ipocortisolismo). Il morbo di Addison infatti può dare sintomi gastroenterici sovrapponibili alla PLE ed è presente in 1 su 25 cani con enteropatia cronica. IL veterinario potrà anche effettuare esami delle urine per escludere che la carenza di albumine sia secondaria a una malattia renale (nefropatia proteino-disperdente). Le alterazioni ematologiche più frequentemente riscontrate nella enteropatia proteino-disperdente del cane (PLE) oltre all’ipoalbuminemia (albumine basse) sono l’ipocolesterolemia (colesterolo basso), l’ipocalcemia (calcio basso) e l’ipocobalaminemia (carenza Vit.B12), tutte secondarie ad un’alterata funzionalità intestinale. L’ecografia addominale in un cane con enteropatia proteino-disperdente (PLE) può evidenziare segni di enteropatia cronica come alterazioni della parete intestinale, linfonodi addominali aumentati di volume e versamento addominale (Fig. 2). Per la diagnosi definitiva di enteropatia proteino-disperdente (PLE) il veterinario potrà effettuare delle biopsie intestinali per esame istologico. L’esame istologico permetterà di valutare la causa specifica della PLE ed impostare così la terapia più adeguata. Le alterazioni istologiche frequenti nella PLE sono: presenza di cellule infiammatorie, danno epiteliale, dilatazione delle dei vasi linfatici, distensione delle cripte, atrofia dei villi intestinali. Le biopsie potranno essere effettuate in endoscopia, tecnica meno invasiva, in laparoscopia o in laparotomia. Fig. 2 - Immagine ecografica da un cane con PLE che mostra presenza di liquido libero in addome (ascite) e presenza di linfangectasia (striature iperecogene a livello della mucosa intestinale). Come si tratta la enteropatia proteino-disperdente (PLE) del cane? Nei cani con diagnosi di enteropatia proteino-disperdente il veterinario prescriverà una terapia dietetica a tenore di grassi moderatamente basso (low fat, commerciale o casalinga) o a tenore di grassi molto basso intorno al 6% (ultra low fat, casalinga) a cui può essere associata o meno una terapia medica. In base all’esito degli accertamenti diagnostici eseguiti, in particolare dell’esame istologico, il veterinario prescriverà la terapia medica più adeguata al caso. Si potrà optare per una terapia con glucocorticoidi, ad azione sia antiinfiammatoria sia immunosoppressiva, e in base alla risposta clinica del paziente si deciderà se associare in seguito altri immunosoppressori di prima o di seconda fascia. Inoltre nella gestione terapeutica della PLE potrà essere necessaria una terapia analgesica, probiotica multiceppo ad alta dose, antiemetica o l’integrazione di vitamine (Vit.B 12). Quali complicazioni possono insorgere a causa della enteropatia proteino-disperdente del cane (PLE)? La complicazione maggiore che può insorgere in un paziente con PLE è il tromboembolismo. Il tromboembolismo è l’occlusione dei vasi (soprattutto a livello polmonare) da parte di coaguli (emboli) che si distaccano da un trombo presente nel sangue (Fig. 3). I fenomeni tromboembolici, secondari allo stato infiammatorio persistente, sono subdoli e purtroppo talvolta fatali.Un marker ematico di infiammazione che può essere utilizzato per il monitoraggio della malattia è la Proteina C reattiva. Essa risulta aumentata nella fase acuta di malattia e può essere rivalutata in corso di terapia. In seguito alla diagnosi di enteropatia proteino-disperdente (PLE) il medico veterinario valuterà il rischio di insorgenza di tromboembolismo e deciderà se impostare una terapia profilattica antiaggregante e/o anticoagulante. Altre complicazioni della enteropatia proteino-disperdente (PLE) sono rappresentate dalla comparsa di versamento addominale e/o pleurico e lo shock ipovolemico, causate dall’eccessiva perdita di albumine. Queste complicazioni possono mettere in pericolo di vita il paziente e pertanto richiedono un intervento tempestivo (trasfusione di albumine e/o di plasma, drenaggio dei versamenti, ossigenoterapia). Fig. 3 - Immagine ecografica da un cane con PLE che mostra presenza di un trombo all’interno della vena porta. Come viene monitorata la enteropatia proteino-disperdente (PLE) del cane? Il protocollo di monitoraggio del cane con PLE è flessibile e dipendente da diversi fattori: gravità della malattia, terapia impostata, risposta alla terapia ed anche il costo. Un primo controllo dall’inizio della terapia avviene solitamente a circa 2-3 settimane. Sulla base della risposta clinica il veterinario deciderà come e se variare la terapia e come impostare i successivi controlli. La puntualità dei controlli è importante anche per identificare eventuali effetti collaterali associati alla terapia farmacologica impostata corticosteroidea e/o immunosoppressiva. È bene ricordare che i pazienti con PLE presentano un rischio elevato di recidiva della malattia. Qual è la prognosi della enteropatia proteino-disperdente (PLE) nel cane? Sono stati creati diversi score per associare a determinate caratteristiche cliniche, ecografiche, endoscopiche e istologiche un punteggio e correlarlo alla gravità della malattia. Pazienti con score clinico basso hanno una prognosi migliore rispetto a coloro che possiedono uno score clinico elevato. Altri fattori prognostici negativi sono: Le albumine persistentemente basse (
Epidemiologia Nonostante la percezione di calo delle prevalenze del parassita nelle aree storicamente endemiche, percezione legata al fatto che la maggior parte dei medici veterinari pratici opera su una clientela selezionata che mette in atto più o meno correttamente piani di profilassi, nonostante la profilassi effettuata da molti proprietari attenti alla salute del proprio animale, D. immitis mantiene costante la sua prevalenza nelle vaste sacche di animali (> 50%) che per motivi economici o logistici non sono sottoposti a profilassi. La percentuale dei soggetti infettati nella pianura padana continua a mantenersi tra il 20 e il 40%. È interessante notare che nell’ultimo decennio nuove aree sono diventate endemiche anche nel centro sud Italia (Puglia, Sicilia) e che virtualmente nessuna regione Italiana può considerarsi indenne. La diffusione di D. immitis verso le regioni meridionali si associa alla diffusione di D. repens dal sud verso il nord, tanto che le infestazioni miste nel Nord Italia sono diventate molto frequenti se non maggioritarie. Tra le cause di diffusione di entrambi i parassiti va considerata primariamente la contemporanea diffusione di specie aliene come Aedes albopictus, la famosa zanzara tigre, che per la sua capacità di adattarsi molto bene ad ambienti fortemente antropizzati e contaminati e per l’abitudine di eseguire il pasto di sangue durante le ore diurne e in sequenza su più soggetti mette a rischio contagio anche tipologie canine (cani di appartamento che vivono in Città) che prima erano a rischio modesto. L’ambiente urbano favorisce inoltre la diffusione del parassita anche perché proprio nei contesti maggiormente cementificati sono riscontrabili le cosiddette “isole di calore”, microambienti nei quali le temperature anche nelle stagioni fredde superano i 14°C, il valore soglia per lo sviluppo della larva all’interno della zanzara. Nel gatto per le difficoltà legate alla diagnosi non sono disponibili vasti dati epidemiologici. La minor attrattività del gatto verso le zanzare e la naturale resistenza di alcuni soggetti (1 su 4) all’infestazione da D. immitis fa sì che la prevalenza di questa parassitosi, che evolve nella maggior parte dei casi in forma asintomatica, per poi appalesarsi con sintomatologie acute e gravi (tra cui morte improvvisa), sia inferiore. Dati teorici, verificati sul campo in alcuni studi limitati, fanno ritenere che la prevalenza nei gatti, nella medesima area geografica, sia circa il 10% di quella riscontrabile nei cani (che sono reservoir del parassita). Macrofilarie (adulti) di Dirofilaria immitis Diagnosi I test attualmente in commercio per la ricerca di antigeni circolanti di D. immitis hanno raggiunto un’altissima sensibilità e sono in grado di svelare la presenza di pochissimi (o anche solo uno) parassiti adulti, specie in canidi piccola taglia (minor diluizione dell’antigene) o in presenza di macrofilarie femmine adulte (maggiore liberazione di antigene). L’aumento della sensibilità ha portato inevitabilmente ad una riduzione della specificità tanto che oggi sono ben documentati falsi positivi da reazioni crociata in caso di infestazione da Angiostrongylus vasorum e Spirocerca lupi, e altri nematodi (in particolari D. repens) si sospetta possano dare ugualmente cross reactivity. Le indicazioni di ESDA (European Society of Dirofilariosis and Angiostrongylosis) sono quelle di eseguire contestualmente al test Antigenico un test di Knott per la ricerca di microfilarie circolanti per incrementare il valore predittivo positivo dei test e per evidenziare possibili razioni crociate nel caso che un test risulti inaspettatamente positivo in assenza di microfilaremia. In caso di difficile identificazione morfologica delle macrofilarie al test di Knott può essere utile l’esecuzione della PCR per identificare la specie. La PCR deve seguire e non sostituire il test di Knott perché il DNA esaminato è quello contenuto nelle microfilarie circolanti (inutile eseguirla in cani non microfilaremici) e per la minor sensibilità (cani con microfilaremie inferiori a 4-6 mf/ml danno frequentemente esito negativo). Nel gatto la scarsa sensibilità dei test antigenici e il raro riscontro di microfilaremia impongono l’uso contestuale dei test anticorpali, considerando che essendo test indiretti non forniscono prova certa d’infestazione e che nei soggetti asintomatici questi test hanno sensibilità incompleta. In caso di positività a test anticorpale, con test antigenico negativo, è necessario quindi ricorre ad altri ausili diagnostici (ecocardiografia) per una diagnosi di certezza. Terapia Nel cane le due terapie causali d’elezione sono rappresentate dalla Melarsomina (terapia medica adulticida) e dalla rimozione delle macrofilarie per via trans-giugulare con tecnica mini-invasiva (Ishihara Forceps Fujinon, ClearIt Avalon med) nei soggetti con “Sindrome della vena cava” o elevate cariche parassitarie riscontrate ad esame ecocardiografico. Per questo motivo è importante che il medico veterinario possa effettuare una corretta stadiazione del paziente utilizzando anche indagini strumentali come esami radiografici ed ecocardiografici. Profilassi Le variazioni climatiche e le importanti modificazioni nella popolazione di ospiti intermedi (zanzare) non consentono di individuare con sicurezza una stagionalità del parassita con una fase di inizio e una di fine rischio trasmissione, in particolar modo in ambito urbano e nelle regioni centro meridionali. La profilassi per la Filariosi cardiopolmonare sia nel cane sia nel gatto dovrebbe essere eseguita con una copertura di tutti i 12 mesi dell’anno come indicato dalle linee guida ESDA e AHS. Immagine di copertina: Microfilaria di D. immitis. Striscio ematico (colorazione Romanowsky). Le microfilarie di D.immitis sono riconoscibili per lo spazio cefalico privo di nuclei (non presente in D repens) “DVM, Specialista in Clinica dei Piccoli Animali, Diplomato EVPC, EBVS® - European Veterinary Specialist in Parasitology”.Dr. Luigi VencoAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
Che cos’è il megaesofago del cane? Per megaesofago si intende una condizione caratterizzata dalla dilatazione di una parte (megaesofago focale) o di tutto l’esofago (megaesofago diffuso) associata a riduzione o perdita della normale motilità esofagea. L’esofago è la parte del canale digerente che connette il cavo orale e il faringe allo stomaco. È un organo tubulare delimitato da 2 sfinteri (lo sfintere esofageo prossimale e quello distale). La sua funzione principale è quella di permettere il passaggio allo stomaco del cibo e dei liquidi ingeriti attraverso una serie di contrazioni ritmiche, quest’ultime rese possibili dallo strato muscolare esofageo. Quali sono le cause di megaesofago del cane? Il megaesofago del cane viene distinto in megaesofago congenito (presente alla nascita) o acquisito (insorto dopo la nascita). Quello acquisito viene ulteriormente distinto in primario, senza cause sottostanti, o secondario quando associato a patologie di diversa natura insorte al di fuori dell’esofago e con un suo coinvolgimento secondario. La causa della forma congenita non è ancora del tutto chiara, al momento l’ipotesi principale è che la malattia derivi da un’alterata innervazione dell’esofago. Il megaesofago acquisito è di sicuro la forma più comune. La sua forma primaria (o idiopatica) la causa esatta è sconosciuta ma sembra coinvolgere un difetto nell’innervazione dell’esofago con compromissione della motilità esofagea. Per quanto riguarda il megaesofago acquisito secondario, diverse sono le cause possibili che possono essere distinte a seconda della loro natura in: Cause neuromuscolari (che coinvolgono la trasmissione dello stimolo nervoso al muscolo) come Miastenia gravis Polimiopatia/polimiosite Lupus sistemico eritematoso Dermatomiosite Malattie infettive come cimurro Infezioni clostridiali come il tetano e il botulismo Malattie del sistema nervoso autonomo come la disautonomia Ostruzioni dell’esofago di diversa natura Neoplasia Anomalie dell’anello vascolare Stenosi esofagea (restringimento focale dell’esofago conseguente ad un processo infiammatorio primario o a compressione esterna) Corpi estranei Intossicazioni Piombo Organofosforici Cause endocrine Ipoadrenocorticismo o morbo di Addison (insufficiente produzione ormonali da parte delle ghiandole surrenali) Ipotiroidismo Esistono delle predisposizioni di razza per l’insorgenza di megaesofago nel cane? Le seguenti razze sembrano predisposte al megaesofago congenito: Setter irlandese Alano Pastore tedesco Labrador Retriever Shar pei Terranova Schnauzer nano Fox terrier Il megaesofago idiopatico colpisce più comunemente razze di media e grossa taglia con un’età compresa tra i 5 e i 12 anni. Per quanto riguarda il megaesofago acquisito secondario, la predisposizione di sesso, razza o età dipenderà dalla patologia sottostante. Quali sono i sintomi di megaesofago del cane? Il sintomo clinico principale causato dal megaesofago è il rigurgito. Il rigurgito è l’atto passivo di espulsione improvvisa di cibo e/o liquidi provenienti dall’esofago e/o dallo stomaco. Il rigurgito insorge per la perdita di contrattilità e motilità dell’esofago e l’impossibilità di cibo e liquidi a progredire nello stomaco. Il rigurgito va sempre distinto dal vomito in cui il cibo o i liquidi vengono attivamente espulsi dallo stomaco o dall’intestino. Il vomito a differenza del rigurgito è preceduto da: Aumento della salivazione Conati Contrazioni addominali ripetute seguite dall’espulsione delle ingesta Un altro segno spesso riscontrato nei cani con megaesofago è la perdita di peso con appetito conservato o aumentato dovuti a malnutrizione o a perdita di massa muscolare. Lo stato di malnutrizione, spesso associato a disidratazione, sono da ricondurre alla diminuita o mancata assunzione di cibo e liquidi a causa del rigurgito. Altri segni clinici riscontrabili durante sono da ricondurre alla patologia sottostante, e includono debolezza muscolare (dovuta a patologie neuromuscolari o endocrinopatie), sintomi gastroenterici come diarrea e vomito (associati a avvelenamenti o ipoadrenocorticismo) o segni cutanei (come nel lupus eritematoso sistemico, nell’ipotiroidismo o nella dermatomiosite). La presenza di episodi di tosse e difficoltà respiratoria possono essere imputabile al passaggio di materiale esofageo o gastrico nelle basse vie respiratorie e l’insorgenza di irritazione o di polmonite (polmonite ab ingestis). Quali rilievi si possono riscontrare all’esame clinico di un cane con megaesofago? I rilievi all’esame clinico dipenderanno dalla durata e gravità della malattia, dalla patologia sottostante e dalla presenza o meno di complicanze (come ad esempio polmonite ab ingestis). I rilievi più comuni includono: Disidratazione e stato di nutrizione scadente Aumento della salivazione Masse muscolari ridotte (da mancato uso e/o da malnutrizione proteica) Abbattimento e riluttanza al movimento (patologie neuromuscolari, polmonite ab ingestis) Febbre Andatura rigida (polimiopatia)Dolorabilità muscolare (polimiosite, dermatomiosite) Respiro alterato (polmonite ab ingestis, timoma, malattie neuromuscolari con coinvolgimento dei muscoli della respirazione) Mantello scadente con lesioni cutanee (ipotiroidismo, lupus eritematoso sistemico, dermatomiosite) Come si può diagnosticare il megaesofago nel cane? Il sospetto di megaesofago deve insorgere sempre in presenza di un cane con rigurgito. La radiografia toracica (immagine di copertina) è un metodo molto utile per confermare la presenza di megaesofago e per riscontrare eventuali cause intratoraciche (come nel caso di masse timiche) o complicazioni (come nel caso di polmonite ab ingestis).Una volta riscontrata la presenza di megaesofago bisognerà effettuare una serie di indagini specifiche volte ad escludere tutte le possibili cause di megaesofago. Queste indagini possono includere esami di laboratorio, test di funzionalità della tiroide e delle ghiandole surrenali, diagnostica per immagini avanzata, test di funzionalità nervosa e muscolare e in alcuni casi biopsie di nervi e muscoli per esame istologico. Solo dopo aver escluso cause sottostanti, il megaesofago potrà essere chiamato primario (o idiopatico). Qual’è la terapia del megaesofago nel cane? I cani affetti da megaesofago acquisito secondario richiederanno il trattamento specifico della patologia sottostante. Nel caso del megaesofago primario o idiopatico la terapia è fondamentalmente una di supporto e sintomatica e si baserà sul supporto nutrizionale per assicurarsi che il cane sia in grado di alimentarsi correttamente riducendo gli episodi di rigurgito e aspirazione nelle vie respiratorie. In alcuni casi, semplicemente elevare la ciotola del cibo e dell’acqua può essere sufficiente a favorire il passaggio di cibo e liquidi nello stomaco per gravità. In aggiunta, la somministrazione di piccoli pasti più frequente può ridurre gli episodi di rigurgito. Variare la consistenza del cibo da secca a poltigliosa può favorire il passaggio del cibo nello stomaco. In casi in cui questi accorgimenti non sono sufficienti, è possibile avvalersi di supporti specifici (come la cosiddetta sedia di Bailey, Fig 1) che permettono di mantenere in posizione eretta il cane durante l’assunzione del cibo. . In alcuni casi, il veterinario potrebbe decidere di inserire nello stomaco, sotto anestesia generale e per via endoscopica, un sondino di alimentazione (sondino PEG) che permette l’inserimento di cibo liquido direttamente nello stomaco bypassando l’esofago e riducendo i rischi di rigurgito e aspirazione di contenuto gastrico nelle vie respiratorie. Nel caso sia insorta una polmonite ab ingestis, potrebbe rendersi necessaria la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro in aggiunta alla ospedalizzazione per ossigeno terapia e terapie di supporto. Qual è la prognosi del megaesofago nel cane? Nel complesso la prognosi a lungo termine del megaesofago del cane è riservata. La prognosi del megaesofago dipenderà dalla sua forma. Il megaesofago congenito può migliorare nel tempo, se la terapia di supporto è condotta attentamente. La prognosi per il megaesofago acquisito primario o idiopatico è sfavorevole a causa dei ripetuti episodi di polmonite ab ingestis. Nel caso del megaesofago acquisito secondario la remissione è possibile nel caso in cui la patologia sottostante venga trattata con successo (come ad esempio nel caso della miastenia gravis o delle endocrinopatie). Fig. 1 - Prototipo di sedia di Bailey, per l’alimentazione assistita di un cane con megaesofago e dismotilità esofagea per ridurre il rischio di rigurgito.Una volta entrato nel dispositivo il cane può solo assumere una posizione verticale (da seduto) per poter raggiungere la ciotola. “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}
L’arrossamento oculare è una manifestazione clinica comune a tante condizioni nei nostri animali. Può essere associato a situazioni banali e passeggere, come le congiuntiviti follicolari canine o le forme lievi di congiuntivite da Herpesvirus felino, ma anche a patologie più gravi come le ulcere corneali, le uveiti ed il glaucoma. Il rossore congiuntivale che si nota è legato ad un aumento dell’apporto di sangue nel tessuto oculare a seguito di uno stimolo irritativo/infiammatorio e può essere o meno associato a gonfiore (chemosi congiuntivale), a iperlacrimazione (epifora) e a fastidio oculare (blefarospasmo). Nei cani in accrescimento spesso si osserva una condizione di iperemia e lacrimazione, chiamata congiuntivite follicolare, legata alla stimolazione cronica del sistema linfatico congiuntivale da parte di polveri ambientali. Tale condizione preoccupa molto i proprietari, ma in realtà tende a risolversi spontaneamente con la crescita e può essere attenuata dall’uso di antibiotici e cortisonici locali. Spesso nei soggetti allergici, così come avviene a livello cutaneo, anche l’occhio viene interessato da prurito e arrossamento intenso, sia a livello congiuntivale che palpebrale. In questi casi il veterinario potrà prescrivere è spesso necessaria una terapia multimodale per controllare le manifestazioni cliniche con l’impiego di antibiotici, cortisonici, farmaci antiprurito, dieta, terapia anticorpale, vaccini etc. Anche difetti di posizionamento palpebrale (entropion, ectropion) o ciglia “fuori posto” (distichiasi e ciglia ectopiche) creano irritazione continua, innescando l’infiammazione e l’arrossamento della congiuntiva. Queste condizioni si affrontano il più delle volte con una procedura chirurgica, che di solito è risolutiva. Nei gatti la congiuntivite è forse la patologia oculare più frequentemente riscontrata ed è legata all’infezione cronica da Herpesvirus, un agente patogeno praticamente diffuso in tutta la popolazione felina, che resta “nascosto” e innocuo finchè l’animale non subisce uno stress, a seguito del quale si ha un temporaneo calo delle difese immunitarie che permette così la riattivazione del virus e la manifestazione clinica (iperemia, lacrimazione e in casi gravi ulcere corneali). In queste situazioni il gatto viene trattato con antibiotici e antivirali fino alla remissione dei sintomi, ma il proprietario deve essere avvisato delle possibili e frequenti recidive. Se l’arrossamento oculare è improvviso e associato a dolore, è più probabile che ci sia uno stimolo irritativo acuto, potenzialmente pericoloso per l’integrità anatomica e funzionale del globo oculare, come una lesione corneale, un corpo estraneo, un’infiammazione delle strutture interne (uveite) o un importante aumento della pressione endoculare (glaucoma): in questi casi è bene non tergiversare e portare il prima possibile il proprio animale dal veterinario, così da avere una diagnosi tempestiva ed una terapia adeguata. Anche gli arrossamenti cronici non sono da sottovalutare perché potrebbero essere il primo campanello di allarme di malattie altrettanto invalidanti nel tempo, come la cheratocongiuntivite secca e la cheratite superficiale cronica (anche detta “panno corneale”), patologie spesso legate alla razza, che portano nel tempo ad un’infiammazione e opacamento corneale, con progressivo calo della vista se non si instaura la terapia specifica. L’occhio rosso può anche essere legato alla presenza di sangue all’interno dell’occhio. Questa condizione, chiamata ifema, può derivare sia da un evento traumatico contusivo, ma anche da situazioni cliniche più subdole, evidenziate proprio da questo sanguinamento intraoculare, quali distacchi retinici (secondari a ipertensione arteriosa sistemica) o avvelenamenti da rodenticidi anticoagulanti, o ancora in caso di alcune neoplasie oculari. Per concludere quindi, l’occhio rosso non è mai una condizione “normale” ed è bene che venga indagata dal medico veterinario per evitare di trovarsi in situazioni potenzialmente pericolose per la vista e l’integrità dell’organo stesso.“DVM, Dottore di Ricerca in Oftalmologia Veterinaria Specialista in Clinica e Malattie dei Piccoli Animali (Oftalmologia)”Dr. Domenico MultariAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}