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La Torsione Dilatazione gastrica (GDV) nel cane

La Torsione Dilatazione gastrica (GDV) nel cane

Cos’è la Torsione Dilatazione gastrica nel cane? La Torsione Dilazione Gastrica nel cane (abbreviata GDV) è una emergenza gastroenterica potenzialmente fatale, se non riconosciuta e trattata tempestivamente, caratterizzata da una eccessiva dilatazione dello stomaco per accumulo di gas e fluidi e dalla concomitante rotazione dello stomaco lungo il proprio asse.    Come avviene la Torsione Dilatazione gastrica nel cane? Il meccanismo esatto di sviluppo della Torsione Dilatazione gastrica nel cane non è ancora del tutto chiaro. Diverse sono le ipotesi sin qui avanzate ma è probabile che si tratti di una malattia multi fattoriale con la compartecipazione di diverse cause in cani geneticamente predisposti. Tra i fattori ritenuti co-responsabili della Torsione Dilatazione gastrica troviamo:  Razza di taglia gigante e grande ad esempio Alano, Pastore Tedesco, Setter Inglese e Irlandese e Barbone (anche se qualsiasi cane può sviluppare Torsione Dilatazione gastrica) Conformazione profonda della gabbia toracica Età avanzata Condizioni fisiche scadenti ed eccessivo dimagrimento Numero e quantità eccessiva dei pasti Esercizio fisico dopo il pasto Aerofagia (ingestione di grandi quantità di aria)  Sbalzi termici improvvisi Ridotta motilità dello stomaco Lassità dei legamenti epato-gastrico (che collegano stomaco a fegato)   Oltre ai fattori di rischio, rimane ancora da delucidare se il meccanismo scatenante della Torsione Dilatazione gastrica sia la dilatazione eccessiva dello stomaco (per cause diverse come deglutizione eccessiva di aria e saliva, fermentazioni batteriche, accumulo di materiale alimentare o secrezioni nello stomaco) con conseguente rotazione dell’organo, o se la dilatazione avvenga come conseguenza di una iniziale rotazione dello stomaco sul suo asse lungo. In entrambi i casi, la rotazione dello stomaco lungo il proprio asse, che può essere completa (a 360°) o incompleta (a 180°), porta a un vero e proprio intrappolamento nello stomaco di gas, saliva, secrezioni e cibo che non hanno modo di lasciare l’organo portando a una sua dilatazione incontrollata.    Che succede allo stomaco in seguito alla Torsione Dilatazione gastrica? In corso di Torsione Dilatazione gastrica, la significativa dilatazione dello stomaco all’interno dell’addome porterà a una compressione dei vasi sanguini limitrofi con conseguente congestione venosa e formazione di trombi. Inoltre, la milza che è vicina allo stomaco può essa stessa diventare congesta ed eventualmente torcersi e rompersi. Infine, l’intrappolamento di succhi acidi nello stomaco può portare alla ulcerazione della parete gastrica e alla possibile perforazione.  Inoltre, la condizione di ridotto flusso sanguigno e di carenza di ossigeno tissutale porta al rilascio massiccio in circolo di sostanze chimiche che possono causare danno al muscolo del cuore con comparsa di aritmie potenzialmente fatali e che possono indurre una sindrome da infiammazione generalizzata che può portare alla insufficienza di diversi organi e del sistema della coagulazione e portare eventualmente al decesso del cane. È quindi davvero importante ai fini prognostici identificare e trattare in maniera tempestiva queste complicazioni, in aggiunta alla gestione specifica della Torsione Dilatazione gastrica, per garantire la sopravvivenza del paziente.     Come posso sospettare una Torsione Dilatazione gastrica nel mio cane? Al fine di poter trattare tempestivamente la Torsione Dilatazione gastrica evitando conseguenze gravi è fondamentale che il proprietario di un cane a rischio di Torsione Dilatazione gastrica possa riconoscerne i sintomi clinici ad essa associati per poi richiedere l’attenzione del proprio medico veterinario.    I sintomi più comuni della Torsione Dilatazione gastrica includono:  Agitazione  Ipersalivazione (produzione eccessiva e perdita di saliva dalla bocca)  Conati di vomito improduttivi (senza espulsione di materiale)  Rigurgito di saliva (espulsione dalla bocca senza conati)  Eruttazioni ripetute Difficoltà respiratoria con respiro affannoso e sforzi respiratori eccessivi (per compressione dello stomaco dilatato sul diaframma e una ridotta distensione dei polmoni)  Distensione dell’addome Grave abbattimento dello stato mentale Colore pallido o grigiastro delle mucose orali Nei casi più gravi di Torsione Dilatazione gastrica o in caso di intervento ritardato il quadro clinico si può aggravare in modo irrimediabile fino allo sviluppo di shock (collasso) cardiocircolatorio (causato da un ridotto flusso di sangue da e al cuore) con grave calo della pressione sanguigna e morte.   Come si conferma la diagnosi di Torsione Dilatazione gastrica nel cane? La diagnosi nel cane deve essere confermata in maniera tempestiva in modo da evitare l’insorgenza di gravi complicazioni e aumentare le probabilità di sopravvivenza. Solitamente la diagnosi di GDV viene già sospettata dal veterinario in presenza di sintomi clinici già elencati e di rilievi dell’esame fisico tipici della malattia come il rilevamento di grave distensione dell’addome associata a timpanismo (suono caratteristico della presenza di gas alla percussione addominale). Tuttavia, la diagnosi definitiva può essere emessa con l’esecuzione di una radiografia addominale che dimostrerà uno stomaco disteso da gas e situato in una posizione diversa da quella fisiologica. L’avvenuta rotazione dello stomaco sul suo asse lungo determina inoltre la comparsa di una “doppia bolla” rappresentata da 2 regioni anatomiche dello stomaco separate da una banda di tessuto ed entrambe distese da gas (foto 1).Il Veterinario potrà anche richiedere ulteriori ed utili indagini diagnostiche come per esempio test di laboratorio utili per le cure mediche necessarie a stabilizzare il paziente, valutare lo stato clinico e predire in modo più accurato le possibilità di sopravvivenza (prognosi). Foto 1: Radiografia addominale latero-laterale. Possiamo osservare lo stomaco dilatato e torto con il tipico aspetto a “doppia bolla”Come si tratta la Torsione Dilatazione gastrica nel cane? L’approccio terapeutico alla GDV del cane va diviso in 3 fasi: Fase di stabilizzazione del paziente. Questa è la fase più importante. L’obbiettivo è quello di correggere le alterazioni emodinamiche del paziente preparandolo ad affrontare la fase successiva della chirurgia nella maniera più sicura e riducendo il rischio di complicazioni. Terapia chirurgica: la tecnica chirurgica rappresenta la terapia risolutiva. Mediante un approccio in laparotomia (apertura dell’addome) è possibile visualizzare lo stato degli organi addominali, il loro posizionamento e integrità. Successivamente sarà possibile, mediante manualità del chirurgo, il corretto riposizionamento dello stomaco, e facilitarne lo svuotamento aiutando il posizionamento del tubo orogastrico per lavanda gastrica. Infine, il chirurgo procede alla pessi, ovvero all’ancoraggio dello stomaco a strutture addominali adiacenti. La pessi è fondamentale per ridurre il rischio di torsioni future che potrebbero manifestarsi con una certa probabilità. In particolare, questa procedura chirurgica non eviterà la dilatazione dello stomaco ma permetterà di prevenire la torsione dell’organo e tutti i rischi correlati. Esistono varie tipologie di pessi la cui scelta è a discrezione del chirurgo e della confidenza che ha con le diverse tecniche.  Gestione post-operatoria: la terapia postoperatoria che il veterinario imposterà sarà molto importante per assicurare la completa guarigione. Importante sarà anche seguire un piano alimentare riabilitativo al fine di ristabilire la funzionalità gastrica. L’assunzione di alimento semisolido o solido in assenza di episodi di vomito in genere è indice di ripresa della funzionalità gastroenterica.   Quale è la prognosi della Torsione Dilatazione gastrica nel cane? La prognosi della Torsione Dilatazione gastrica nel cane è riservata. Il rischio di mortalità è alto con percentuale di decessi variabile del 10-45%. È possibile aumentare le probabilità di sopravvivenza se il paziente viene portato dal Veterinario il più rapidamente possibile riducendo così la probabilità di insorgenza delle sequele della malattia, tra cui il danno ischemico ai tessuti, la necrosi e la perforazione della parete dello stomaco.   Come posso prevenire il rischio che il mio cane sviluppi una Torsione Dilatazione gastrica?  In presenza di fattori di rischio per lo sviluppo di Torsione Dilatazione gastrica (ad esempio in cani di taglia gigante e grande), il vostro medico veterinario può effettuare una procedura di gastropessi preventiva per ridurre il rischio di sviluppo di Torsione Dilatazione gastrica più in là nel corso della vita.“Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

La colangite del gatto

La colangite del gatto

Che cosa è la colangite del gatto? La colangite del gatto (o colangioepatite) è una malattia di natura infiammatoria che colpisce le vie biliari e il fegato dei gatti. La colangite è una malattia epatica frequentemente diagnosticata nella specie felina e seconda solo alla sindrome della lipidosi epatica.  Cosa causa la colangite del gatto? La colangite del gatto esiste in 2 forme principali: la colangite neutrofilica e la colangite linfocitica.La colangite neutrofilica è causata da una infezione delle vie biliari da parte di batteri di origine intestinale.La colangite linfocitica è invece sterile e causata da una disfunzione del sistema immunitario (malattia immunomediata) con l’accumulo di cellule immunitarie nelle vie biliari e nel fegato con conseguente infiammazione e fibrosi.Una terza forma di colangite, molto rara e riportata solo in alcune aree geografiche del mediterraneo e il alcuni paesi subequatoriali, è la colangite parassitaria causata dalla migrazione di parassiti (assunti accidentalmente dal gatto in seguito all’ingestione di pesce parassitato) dall’intestino al dotto biliare dove causano una ostruzione con conseguente grave reazione infiammatoria. Quali gatti possono sviluppare la colangite? Nella colangite del gatto non sono state appurate predisposizioni di razza, sesso o età. Tuttavia, la forma neutrofilica è più frequente nei gatti di giovane età, mentre la forma linfocitica è più comune nei gatti di mezza età. Infine, alcuni studi scientifici hanno evidenziato un rischio maggiore per i gatti di razza Persiana di contrarre la forma linfocitica della malattia.Quali sono i sintomi tipici della colangite del gatto? I segni clinici mostrati dai gatti affetti da colangite sono diversi e dipendono in parte dalla durata e dalla gravità della malattia e dalla presenza o meno di interessamento di altri organi addominali anatomicamente e funzionalmente annessi al fegato come il pancreas e l’intestino tenue.  I sintomi più comunemente riportati dai proprietari di gatti con colangite includono: Inappetenza o anoressia Letargia  Nausea e eccessiva salivazione Sintomi gastrointestinali quali vomito e meno comunemente diarrea Perdita di peso (più comune nella forma linfocitica che ha un andamento cronico) Sintomi meno comuni includono: Colorazione giallastra (ittero) delle sclere (occhi), della mucosa orale e della cute visibile (più comune nella forma neutrofilica) Distensione dell’addome (causata da perdita di liquido nell’addome, nella forma linfocitica) Aumento della fame (polifagia, nella forma linfocitica) Quali rilievi vengono riscontrati all’esame clinico di un gatto con colangite?  I rilievi dell’esame clinico nei gatti con colangite dipenderanno dalla durata e gravità della malattia, dalla presenza di patologie concomitanti o dalla comparsa di complicazioni legate alla malattia.  I rilievi più comunemente riscontrati (non obbligatoriamente presenti) includono:  Condizione corporea subottimale Disidratazione Ipersalivazione (segno di nausea) Depressione e letargia  Colorazione giallastra delle mucose e della cute (ittero)  Febbre (più comune nella forma neutrofilica)  Dolorabilità addominale Aumento di volume del fegato Riscontro di distensione addominale da accumulo di liquido libero  Come si può diagnosticare la colangite nel gatto? Per emettere la diagnosi definitiva di colangite, per caratterizzarne la forma (neutrofilica o linfocitica) e infine per delineare una terapia mirata sarà necessaria una biopsia del fegato con esame istologico unitamente a un esame colturale della bile.  Tuttavia, prima di procedere con la biopsia epatica sarà prima necessario avanzare un sospetto clinico di colangite ed escludere la presenza di patologie concomitanti mediante l’esecuzione di indagini iniziali come esami di laboratorio ed ecografia addominale.  Le alterazioni più comunemente riscontrate negli esami di laboratorio in gatti con colangite includono: Presenza di una lieve anemia Aumento o riduzione del numero dei globuli bianchi  Aumento della bilirubina (pigmento responsabile della colorazione giallastra delle mucose e della cute) Aumento degli enzimi epatici come ALT, ALP, GGT Aumento delle globuline (una frazione delle proteine ematiche)  L’esame ecografico dell’addome è una indagine molto utile ad avanzare il sospetto di colangite e a valutare la presenza di patologie concomitanti a carico di pancreas e intestino. Inoltre, l’esame ecografico permette di raccogliere prelievi di tessuto epatico per ago infissione (generalmente poco invasivi e ben tollerati) per esecuzione dell’esame citologico, che in circa il 30% dei casi può essere sufficiente per diagnosticare una colangite neutrofilica senza la necessità di eseguire una biopsia (solitamente necessaria per una diagnosi definitiva).  I rilievi più comuni all’esame ecografico addominale in gatti con colangite includono l’aumento di volume del fegato, l’ispessimento della parete della cistifellea con accumulo di sedimento (Figura 1), la dilatazione delle vie biliari.  Una volta avanzato il sospetto di colangite attraverso le indagini iniziali sarà necessario, nella maggior parte dei casi, procedere con l’esecuzione di una biopsia epatica e l’esame istologico per ottenere la conferma della diagnosi di colangite e per caratterizzare la forma della malattia, neutrofilica o linfocitica della malattia. I criteri istologici utilizzati per classificare la colangite in una delle due forme sono il tipo di infiltrato cellulare riscontrato, la presenza di necrosi, il coinvolgimento dei piccoli dotti biliari e del loro rivestimento e la presenza di fibrosi significativa. Figura 2. Immagine ecografica di fegato affetto da colangite. Si notano ispessimento della parete della colecisti con presenza di materiale sedimentato al suo interno. Quali metodi il Veterinario può utilizzare per raccogliere una biopsia epatica?  Le biopsie del fegato, per poter poi effettuare un esame istologico, possono essere raccolte con 3 metodi differenti. Il primo è quello ecografia-guidato attraverso l’uso di aghi da biopsia appositi (Figura 2). Le biopsie ottenute con questo metodo sono relativamente piccole per cui vanno raccolte in numero adeguato a far si che l’esito dell’esame istologico sia rappresentativo di tutto il fegato.  Il secondo metodo è quello chirurgico laparoscopico. La laparoscopia è una tecnica mininvasiva che si effettua attraverso piccole incisioni nella parete addominale senza ricorrere a una vera e propria apertura chirurgica della cavità addominale. Con questa tecnica i campioni ottenuti sono di dimensioni adeguate e il recupero dalla procedura è rapidissimo. Il terzo e ultimo metodo è quello della laparotomia esplorativa con apertura chirurgica della parete addominale ed esplorazione diretta del fegato e la raccolta di campioni bioptici di dimensioni maggiori rispetto alle altre due tecniche. La scelta della tecnica dipende da una serie di fattori e verrà scelta dal Medico Veterinario.  Inoltre il Veterinario può decidere di effettuare anche un prelievo di bile dalla cistifellea per un esame colturale che permette di isolare e identificare batteri (nel caso della colangite neutrofilica) e di valutare la scelta dell’antibiotico più efficace. I batteri più frequentemente isolati dalla bile di gatti con colangite neutrofilica sono Escherichia coli, Streptococchi ed Enterococchi tutti di origine intestinale.    Figura 2. Esecuzione di una biopsia ecoguidato con ago Tru-Cut. Quale è la terapia della colangite del gatto? Il trattamento della colangite del gatto dipende dalla forma della malattia. Nel caso della colangite neutrofilica la terapia è basata sull’uso di uno o più antibiotici idealmente scelti sulla base del risultato dell’esame colturale e della prova di antibiotico suscettibilità. Nei casi acuti e gravi di questa forma di colangite sarà necessario iniziare rapidamente la terapia antibiotica prima che i risultati dell’esame colturale siano disponibili. In questo caso gli antibiotici più utilizzati sono quelli in grado di agire su batteri di origine intestinale e di raggiungere quantità adeguate nella bile. La durata della terapia varierà dalla gravita della malattia ma solitamente prevede circa 4 settimane di trattamento. Nel caso della colangite linfocitica che, al contrario della forma neutrofilica, è sterile e su base immuno-mediata, la terapia prevede l’uso di farmaci immunosoppressivi (che sopprimono il sistema immunitario) in aggiunta a farmaci ad azione antiossidante e epatoprotettiva. Nel caso della colangite linfocitica la durata della terapia è più lunga e in alcuni casi indefinita. In aggiunta alla terapia specifica della colangite sarà importante stabilire un regime terapeutico di supporto individuale che tenga presente anche dei sintomi del gatto a base di fluidoterapia endovenosa (nel caso di disidratazione), alimentazione assistita (nel caso di anoressia prolungata), di farmaci anti-vomito e di analgesia (nel caso di dolore addominale). Quale è la prognosi della colangite nel gatto? Nel complesso la prognosi della colangite neutrofilica non complicata è ottima con una buona percentuale di gatti che ritornano alla normalità al termine del trattamento antibiotico. Nella colangite linfocitica la risposta alla terapia è più variabile per via della natura immunomediata della patologia. Solitamente la maggior parte dei gatti affetti dalla forma linfocitica hanno un miglioramento clinico iniziale ma subiscono poi una recidiva alla sospensione della terapia che viene quindi continuata nel lungo-termine. Nel corso della terapia per colangite, il veterinario dovrà monitorare il decorso della malattia attraverso visite ed esami di controllo necessari per decidere se modificare o sospendere la terapia. “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

Osteosarcoma del cane

Osteosarcoma del cane

L’osteosarcoma, il tumore osseo primario più frequente nel cane, può localizzarsi in qualsiasi parte dello scheletro.  La localizzazione più caratteristica è a livello delle ossa degli arti, soprattutto di quelli anteriori. I cani colpiti sono in genere di media-grossa taglia (ma non solo) e per lo più maschi, ma anche le femmine possono ammalarsi. L’età media è 5-7 anni, ma anche soggetti di 2-3 anni ne possono risultare affetti.  Le ossa del bacino, la scapola, il cranio e le coste sono meno frequentemente colpite e ancor più raramente le vertebre.  L’osteosarcoma del cane, se localizzato agli arti, provoca una tumefazione dura con conseguente dolore e zoppia, fino alla sottrazione completa dell’arto al carico (che si può verificare soprattutto in caso di localizzazioni alte, ad esempio se localizzato sull’omero, ovvero il braccio del cane). L’osteosarcoma costale (costole) determina invece una deformazione dura e fissa della parete toracica, quello cranico una deformazione della faccia, mentre quello pelvico (bacino) può inizialmente passare inosservato, specie nei soggetti vigorosi e ben nutriti.  Dopo che il veterinario ha visitato il cane, in caso di sospetto di osteosarcoma, si potranno richiedere ulteriori accertamenti, prima di tutto un esame radiografico. La diagnosi definitiva si basa comunque su ago-aspirato ed esame citologico e, preferibilmente, biopsia ed esame istologico. Per escludere la disseminazione metastatica, il veterinario potrà richiedere un esame TC “total body”, utile anche per stabilire come operare.  L’aggressività clinica dell’osteosarcoma può essere influenzata dalla sua localizzazione: se a carico degli arti, è possibile che il tumore sia meno aggressivo se localizzato sotto al carpo (il nostro polso) o al garretto, quelli a carico del cranio possono essere meno aggressivi ma il problema, in questo caso, è spesso la possibilità o meno di resezione chirurgica completa (fattibile in caso di localizzazione mandibolare o mascellare, meno in altri casi).  In caso di osteosarcoma del cane, l’esame del sangue può aiutare il veterinario a rilevare alcuni fattori prognostici negativi (ad es. linfocitosi, aumento della fosfatasi alcalina, etc.). Anche se raramente, anche i linfonodi regionali possono essere interessati dalla neoplasia; pertanto, il veterinario, durante la chirurgia definitiva per la rimozione del tumore, può decidere di rimuoverli per farli esaminare istologicamente.  In circa il 90% dei casi, sia l’esame radiografico sia la TC sono negativi per metastasi alla prima presentazione ma, purtroppo, soprattutto in caso di osteosarcoma ad un arto, micrometastasi sono probabilmente già presenti. Questo giustifica il ricorso alla chemioterapia dopo la chirurgia.  La terapia chirurgica, in assenza di metastasi visibili, consiste nell’eliminazione in blocco della neoplasia che può comportare l’amputazione di un intero arto o solo la resezione della parte interessata seguita, se del caso, da ricostruzione, come per l’osteosarcoma localizzato alla parete toracica (che comporta la resezione di più segmenti costali), o alla mandibola (mandibolectomia), al bacino (pelvectomia parziale o emipelvectomia), etc. Solo raramente si osservano, dopo chirurgia, problemi funzionali seri e duraturi.  Spesso l’amputazione di un arto è più un problema per il proprietario che per il cane, sono veramente pochi i soggetti che non possono tollerarla ed è controindicata solo nei pazienti neurologici o in quelli troppo obesi. Per l’accettazione dell’amputazione come atto terapeutico è importante il consenso familiare unanime, i cani questo, in un qualche modo, lo avvertono.  Per quanto riguarda la prognosi, in caso di osteosarcoma dell’arto, la sola chirurgia è da considerarsi palliativa poiché nella stragrande maggioranza dei casi possono comparire metastasi entro 4-8 mesi. In questi casi la chemioterapia post chirurgia migliora la sopravvivenza (45-50% di cani vivi a 1 anno, 10-15% a 2 anni).  Se invece la localizzazione è costale le cose vanno peggio mentre vanno meglio se la localizzazione è cranica (ad es. mandibolare) e il tumore può essere completamente escisso.  Per tentare di migliorare queste percentuali, si propone oggi anche l’immunoterapia, in associazione comunque alla terapia standard (chirurgia + chemioterapia).Come alternativa alla chirurgia, in caso di reale non operabilità (a causa della localizzazione del tumore) e/o volontà di non far amputare il proprio cane, è proponibile la radioterapia che, oltre a lenire il dolore per qualche mese, può essere associata a terapia farmacologica, specie nei casi non metastatici, nel tentativo di prolungare la sopravvivenza. Per il controllo del dolore, oltre alla radioterapia, il veterinario può ricorrere a farmaci come anti-infiammatori, analgesici e bifosfonati. “DVM, Prof. Ordinario Clinica Chirurgica Veterinaria, Diplomato ECVS, EBVS® - European Specialist in Small Animal Surgery - (Oncologia Clinica, Chirurgia Oncologica, Chirurgia dei Tessuti Molli)”Prof. Paolo BuraccoAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

La Gengivostomatite Cronica Felina

La Gengivostomatite Cronica Felina

Cos’è la Gengivostomatite Cronica Felina? La Gengivostomatite Cronica Felina (FCGS) è una grave malattia infiammatoria su base immunomediata a carico della mucosa orale del gatto. Si tratta di una condizione spesso molto dolorosa e debilitante dal lungo decorso variabile da mesi fino ad alcuni anni. La Gengivostomatite Cronica Felina si differenzia dalla semplice gengivite in quanto l’infiammazione include e supera la giunzione tra gengive e mucosa buccale fino ad estendersi alla fossa palatina/tonsillare.  Quanto comune è la Gengivostomatite cronica felina? Sebbene l’esatta prevalenza della Gengivostomatite Cronica Felina non sia nota, la patologia è frequentemente riscontrata nella pratica veterinaria ambulatoriale. La letteratura scientifica esistente mostra dei tassi di prevalenza variabili da 0,7% fino al 12%.  Cosa causa la Gengivostomatite cronica felina? Seppur l’esatta patogenesi (causa) della Gengivostomatite Cronica Felina non è nota, si sospetta che si tratti una malattia multifattoriale con la compartecipazione di diversi fattori di rischio in aggiunta a una disfunzione del sistema immunitario. I fattori di rischio più probabili includono: Agenti infettivi: diversi agenti infettivi sono stati associati allo sviluppo della malattia. In particolare, alcuni virus, come il calicivirus felino (FCV), l’herpesvirus felino (FHV-1), il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) e quello della leucemia felina (FeLV) sono stati valutati come possibili responsabili della malattia. Di questi, il calicivirus felino sembra avere un ruolo più convincente nello sviluppo della malattia in quanto viene isolato nel 60% dei gatti affetti da Gengivostomatite Cronica Felina (rispetto al 24% dei gatti senza FGCS e al 23% nei gatti con altre patologie dentali).  Stress ambientale: la prevalenza della Gengivostomatite Cronica Felina è maggiore in ambienti sovraffollati come colonie e gattili per via dell’ impatto negativo sul sistema immunitario causato dallo stress e per la maggiore facilità di trasmissione di virus come il calicivirus felino (FCV).  Odontopatie e Periodontiti: è stato dimostrato che gatti affetti da Gengivostomatite Cronica Felina presentano patologie del cavo orale concomitanti, come periodontiti avanzate generalizzate. Alterazione della flora batterica orale: studi effettuati sulla flora batterica orale in gatti con Gengivostomatite Cronica Felina hanno evidenziato una minore diversità rispetto alla flora di gatti sani con la sovraccrescita di alcune specie potenzialmente patogene (patobionti) come Pasteurella multocida, Bacteroides spp e Peptostreptococcus spp e la scomparsa di alcune specie benefiche.  Iperattività del sistema immunitario locale e sistemico: diversi studi scientifici hanno dimostrato a a livello della mucosa orale la presenza di un imponente infiltrato infiammatorio caratterizzato da piccoli linfociti e plasmacellule ad indicare una attivazione cronica del sistema immunitario. Ulteriori studi di immunochimica effettuati sulle biopsie di mucosa orale in gatti con Gengivostomatite Cronica Felina hanno inoltre evidenziato un aumento di linfociti di tipo T CD8+ (detti citotossici) a discapito di quelli di tipo CD4+ (detti helper o immunoregolatori) a indicare una disfunzione del sistema immunitario di tipo proinfammatorio a discapito del sistema anti-infiammatorio tipica delle malattie su base immunomediata e autoimmune.    Quali sono i sintomi clinici della Gengivostomatite cronica felina? La Gengivostomatite Cronica Felina è una malattia molto debilitante e dolorosa per il paziente. Nelle forme a carattere proliferativo, le lesioni orali e buccali possono essere così esuberanti da impedire la normale prensione e la masticazione del cibo. Nelle forme più gravi la qualità di vita dell’animale può essere drasticamente ridotta.  I sintomi più comunemente riportati dai proprietari di gatti con Gengivostomatite Cronica Felina sono: Dolore alla masticazione e alla prensione dell’alimento (odinofagia) Alitosi Ptialismo (aumento di salivazione) Riduzione delle normali attività di grooming  Irritabilità e alterazione del comportamento Iporessia (ridotta assunzione di cibo) o anoressia Perdita di peso Quali alterazioni si riscontrano all’esame del cavo orale nei gatti con Gengivostomatite cronica felina? All’esame del cavo orale, si riscontrano principalmente due tipologie di lesioni: quelle di tipo ulcerativo (con perdita di tessuto) e quelle di tipo proliferativo (con presenza di tessuto esuberante) che in entrambi i casi si localizzano soprattutto lateralmente alla fossa palatoglossa (detta anche istmo delle fauci), nella parte più caudale del cavo orale. In casi gravi, le lesioni possono coinvolgere anche i lati della lingua impedendone la sua normale retrazione (Fig. 1). Fig. 1 -  Foto della cavità orale di un gatto affetto da gengivostomatite cronica felina dove si apprezza la presenza di estese aree ulcerative (*) in entrambe le fosse palatoglosse. Come viene emessa la diagnosi di Gengivostomatite cronica felina? Nonostante l’esame istopatologico su biopsie delle lesioni mucogengivali sia necessario per una diagnosi definitiva di Gengivostomatite Cronica Felina (con il ritrovamento di grave infiltrato infiammatorio linfo-plasmocellulare con ulcerazione o ipertrofia dello strato epiteliale), la presentazione clinica unitamente alla localizzazione apparenza delle lesioni orali sono talmente caratteristiche da permettere di avanzare un forte sospetto diagnostico sulla sola base dell’esame del cavo orale.  Come si tratta la Gengivostomatite cronica felina? Il Veterinario dopo aver valutato l’astensione e la gravità della patologia sceglierà la tipologia di trattamento più adatta per quel determinato paziente. In linea generale il trattamento della Gengivostomatite Cronica Felina si basa sul controllo del dolore (terapia sintomatica) e sulla gestione delle lesioni orali (terapia specifica) per via chirurgica e/o farmacologica.  La terapia chirurgica è considerata quella di elezione con la terapia farmacologica usata come terapia adiuvante alla chirurgia oppure in alternativa nei casi in cui la chirurgia non è praticabile o non viene accettata dal proprietario del gatto.  Gestione del dolore: qualunque sia la terapia specifica prescelta è fondamentale controllare il dolore nei gatti con Gengivostomatite Cronica Felina che è una malattia estremamente debilitante e dolorosa e che può influenzare negativamente la qualità di vita del paziente. La scelta della terapia analgesica dipenderà da diversi fattori come presenza di malattie concomitanti (es. patologie renali ed epatiche), la modalità e facilità di somministrazione e la percezione del dolore provato dal gatto da parte del proprietario stesso. In genere vengono utilizzati analgesici oppioidi in associazione o meno a farmaci per il controllo del dolore neuropatico.  Terapia Chirurgica: esistono due diversi tipi di approccio chirurgico. Il primo prevede l’estrazione dentale parziale (rimozione dei soli denti premolari e molari). Il secondo invece consiste nell’estrazione dentale totale. In generale l’approccio chirurgico (con estrazione completa o parziale) fornisce i migliori risultati terapeutici a lungo termine, con un miglioramento del quadro clinico nel 50-70% dei casi. L’estrazione dentale parziale (molari e premolari) viene scelta in genere come prima linea di trattamento. In tal modo è possibile ridurre i tempi chirurgici e anestesiologici, i rischi chirurgici e il recupero post-operatorio. Nel caso in cui non si registri un miglioramento clinico nei primi 4 mesi post-intervento, si prende in considerazione la possibilità di eseguire un’estrazione completa come seconda linea di trattamento. Nel periodo post-operatorio è necessario impostare una terapia medica di supporto nelle due settimane successive con uso di antibiotici, anti infiammatori e farmaci analgesici. Studi più recenti hanno dimostrato che gatti trattati con estrazione dentale (sia completa che parziale) hanno avuto una risoluzione completa o un miglioramento del quadro clinico nei 30 giorni post-operatori nel 51% dei casi. Terapia farmacologica: essendo la Gengivostomatite Cronica Felina una malattia infiammatoria cronica con una base immunomediata, la terapia farmacologica si basa sull’utilizzo di farmaci anti-infiammatori e immunomodulanti come Corticosteroidi, Interferone omega ricombinante felino, Ciclosporina Cellule staminali: allo studio anche una terapia sperimentale che prevedere l’utilizzo di cellule staminali e che può essere utilizzata nei casi refrattari ai precedenti trattamenti. Fig. 2 - Foto della cavità orale di un gatto affetto da gengivostomatite cronica che mostra l’avvenuta rimozione di tutti i denti e l’applicazione di punti di sutura. Naturalmente qualunque terapia scelta ed impostata dal Veterinario prevede che il paziente sia controllato attentamente nel tempo. “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

Incontinenza urinaria nel cane

Incontinenza urinaria nel cane

Cosa si intende per incontinenza urinaria? L’incontinenza urinaria è l’emissione involontaria di urina che può verificarsi in maniera intermittente, alternata con minzione (urinazione) normale, o continua in diversi momenti della giornata.Come avviene la minzione (urinazione) nel cane? La minzione è un processo che avviene in due fasi: una fase di riempimento passivo di urina nella vescica urinaria e una fase di svuotamento attivo della vescica.  La vescica urinaria contiene uno strato muscolare liscio, composto dalle fibre del muscolo detrusore, che si continua nell’uretra (la parte del sistema urinario attraverso cui l’urina viene espulsa e che sbocca nel pavimento della vagina) dove forma uno sfintere (orifizio) chiamato sfintere uretrale interno. Nella sua parte terminale, l’uretra presenta un altro ispessimento muscolare che costituisce lo sfintere uretrale esterno. Il muscolo detrusore e i due sfinteri uretrali sono sotto il controllo di un sistema di innervazione, volontario e involontario, rappresentato dal nervo ipogastrico e dai nervi pelvico e pudendo che controllano in maniera coordinata il rilassamento e la contrazione della vescica e degli sfinteri uretrali di fatto permettendo il riempimento e lo svuotamento della vescica urinaria.  Durante la fase di riempimento la vescica è rilassata mentre gli sfinteri uretrali si contraggono per non permettere all’urina di fuoriuscire; durante la fase di svuotamento la vescica si contrae mentre gli sfinteri uretrali si rilassa favorendo la fuoriuscita di urina durante l’urinazione.  Quali sono le possibili cause di incontinenza urinaria nel cane? Le cause di incontinenza urinaria sono diverse e si dividono in neurogene (ossia dovute ad un disordine neurologico) e non-neurogene.  Tra le cause di incontinenza urinaria neurogene ricordiamo: Disturbi del motoneurone inferiore che includono tutte quelle lesioni/patologie a carico del tratto lombare e sacrale del midollo spinale. In questi casi l’incontinenza è associata a una vescica urinaria flaccida e poco contrattile e facilmente svuotabile manualmente.  Disturbi del motoneurone superiore che includono tutte quelle lesioni/patologie a monte del tratto lombare e sacrale lombare del midollo spinale. In questi casi la vescica è ipertonica (spastica) e difficilmente svuotabile manualmente.  Disautonomia. Un disordine molto raro dovuto ad una disfunzione del sistema nervoso autonomo (la parte del sistema nervoso che regola i riflessi involontari).  Tra le cause di incontinenza urinaria non neurogene vi sono: Alterazioni anatomiche congenite o acquisite delle vie urinarie quali: Ectopia ureterale (unilaterale o bilaterale): si tratta di una malformazione anatomica congenita a carico di uno solo o entrambi gli ureteri (i tubicini che collegano il bacinetto renale alla vescica). In questi casi gli ureteri si aprono direttamente nell’uretra o in vagina bypassando di fatto la vescica e lo sfintere uretrale. Di conseguenza si verifica una perdita involontaria continua di urina Vescica intrapelvica: malformazione associata a ridotto tono dello sfintere uretrale causato dalla posizione eccessivamente caudale nel canale pelvico del collo della vescica. Questa sindrome è spesso associata a un’uretra molto corta.   Ureterocele: dilatazione cistica della parte terminale dell’uretere che sporge all’interno della vescica causando pressione sulla vescica stessa. Fistola uretero-vaginale: comunicazione anomala tra l’uretere e la vagina. Fistola uretro-rettale: comunicazione anomala tra l’uretere e il retto può essere congenita o acquisita come conseguenza di traumi pelvici.  Alterazioni della funzionalità dello sfintere uretrale  Incompetenza del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI): causa più comune nelle cagne e si manifesta spesso con perdita di urina intermittente durante il riposo in decubito laterale (quindi spesso di notte durante il sonno). È una condizione descritta soprattutto nelle cagne di grossa taglia che sono state sterilizzate in giovane età ed è legata alla riduzione dei livelli di estrogeni (o testosterone nei maschi) in seguito alla sterilizzazione e la susseguente perdita di tono dello sfintere uretrale.  Alterazioni della contrattilità della vescica Iperattività del muscolo detrusore: disordine caratterizzato da contrazioni eccessive involontarie del muscolo vescicale secondarie a diversi stimoli (infezioni, calcoli urinari o tumori della vescica). In questo caso si verificano frequenti perdite di piccole quantità di urina associate a una sensazione di urgenza.  Instabilità idiopatica del detrusore: disordine molto raro caratterizzato dalla ridotta contrattilità del muscolo detrusore.   Quali cani sono maggiormente predisposti a incontinenza urinaria? La predisposizione di sesso, razza o età  allo sviluppo di incontinenza urinaria dipende dalla patologia sottostante. Per quanto riguarda le patologie spinali da disco intervertebrale (discopatie), ad esempio, è nota la maggior predisposizione nei bassotti tedeschi, nei barboni toy e nei beagle, ma anche in cani di media e grossa taglia come il labrador retriver, il dobermann, il dalmata. Per l’incontinenza urinaria secondaria a incompetenza del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI), questa colpisce soprattutto cani femmina di grossa taglia sottoposte a sterilizzazione precoce. L’ectopia ureterale invece è maggiormente descritta nel siberian husky, il labrador retriever, il terranova, il bulldog inglese, west highland white terrier, il fox terrier, lo skye terrier e barboni toy. Generalmente le femmine sono più colpite dei maschi. Infine, i bulldog inglesi sono più comunemente affetti da fistole uretro-rettali congenite.   Quali sono i sintomi associati a incontinenza urinaria nel cane? L’incontinenza urinaria è definita come la mancanza di controllo volontario del riflesso della minzione (urinazione), che provoca perdita involontaria di urina. La frequenza e gravità della incontinenza dipenderà dalla natura e gravità della patologia sottostante. Nel caso di incompetenza del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI) o incontinenza di natura neurogena il proprietario riporterà il ritrovamento di piccole quantità di urine sul pavimento o sulle superfici dove il cane riposa (cuccia, letto, divani). Nel caso invece di ectopia ureterale, il proprietario potrebbe notare la perdita involontaria continua di urina anche durante la camminata. Nei cani con disordini del midollo spinale l’incontinenza urinaria (associata a ritenzione urinaria e perdita da overflow) è spesso presente anche incontinenza fecale in associazione ad alterazioni della deambulazione.    Quali saranno i possibili rilievi dell’esame fisico in un cane con incontinenza? Il veterinario visitando l’animale potrà evidenziare ulteriori alterazioni che dipenderanno dalla causa sottostante. Nei disordini non neurologici l’esame risulterà spesso nella norma fatta eccezione per il riscontro di eritema o anche irritazione da urina nella zona perineale e genitale, un odore pungente di urine proveniente dal pelo o la presenza di residuo o sgocciolamento di urine dalla vagina. Nel caso invece di cause neurogene l’esame fisico potrà mettere in evidenza una serie di deficit dei riflessi spinali, alterazioni nella deambulazione, la presenza di una vescica sovradistesa più o meno facilmente svuotabile manualmente o l’assenza di tono dello sfintere anale.    Quali indagini diagnostiche potranno essere richieste dal veterinario per identificare la causa di incontinenza urinaria in un cane? La scelta dell’iter diagnostico da seguire in un cane con incontinenza urinaria dipenderà dal sospetto della probabile causa derivante dall’anamnesi riportata dal proprietario e dall’esito dell’esame fisico e neurologico.Nel caso di sospetta incontinenza di tipo neurogeno il veterinario potrebbe consigliare l’esecuzione di un esame di risonanza magnetica della colonna spinale.Nel caso di cause non neurogene, si procederà con l’esecuzione di esame fisico-chimico e colturale delle urine e con indagini di diagnostica per immagini quali ad esempio l’ecografia addominale, la radiografia con mezzo di contrasto, la cistoscopia o la tomografia computerizzata (TC).La cistoscopia, ossia l’utilizzo di una telecamera inserita attraverso l’uretra, permette di visualizzare le basse vie urinarie dall’interno e quindi non solo di identificare direttamente la presenza di alterazioni anatomiche ma anche di effettuare procedure bioptiche o terapeutiche interventistiche. Immagine TAC di un uretere ectopico (freccia gialla), con inserimento dello stesso in una posizione anomala della vescica urinaria. Come si tratta l’incontinenza urinaria nel cane? Il trattamento dell’incontinenza urinaria dipenderà dalla patologia sottostante.Per quanto riguarda le cause neurogene, in assenza di una lesione spinale non correggibile chirurgicamente, il veterinario potrà consigliare una terapia palliativa che si baserà sull’uso di farmaci per diminuire o aumentare il tono del muscolo detrusore e degli sfinteri uretrali e sullo svuotamento manuale della vescica in aggiunta alla gestione delle infezioni urinaria che spesso sopravvengono a causa della ritenzione urinaria. Nell’incontinenza urinaria da incompetenza del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI) il veterinario potrà prescrivere una terapia basata sull’uso sequenziale di farmaci per aumentare il tono dello sfintere uretrale e nei casi refrattari potrebbe consigliare procedure  endoscopiche (come l’iniezione periuretrale di collagene per via endoscopica) o chirurgiche (come la colposospensione o l’applicazione di un occluding device attorno al collo della vescica).  Nel caso di ectopia ureterale la terapia sarà chirurgica. Nella maggior parte dei casi sarà comunque necessaria una terapia farmacologica adiuvante per ottenere una remissione clinica completa.  “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

LIPIDOSI EPATICA NEL GATTO

LIPIDOSI EPATICA NEL GATTO

La lipidosi rappresenta la più comune patologia epatica del gatto ed è caratterizzata da un eccessivo accumulo di trigliceridi nel fegato, con conseguente disfunzione dell’organo.I gatti sono particolarmente predisposti nell’accumulare trigliceridi a livello epatico e il sovrappeso e l’obesità rappresentano un importante fattore di rischio.Tenere sotto controllo il peso del proprio gatto e fornire un’alimentazione sana e equilibrata può prevenire la lipidosi epatica.La lipidosi può essere primaria, cioè insorgere spontaneamente, senza una precisa causa evidenziabile (forma idiopatica), o secondaria ad altre patologie che causano anoressia e repentina perdita di peso.Il digiuno secondario a varie condizioni, patologiche o non patologiche, come ad esempio il rifiuto di un nuovo alimento non appetibile, porta ad un aumento della mobilizzazione dei grassi di deposito e ad un aumento del lavoro metabolico del fegato.In condizioni di normalità, il fegato ha il compito di sintetizzare grassi, quali trigliceridi, colesterolo, lipoproteine e fosfolipidi e metabolizzare i grassi (acidi grassi) presenti nell’organismo (depositi corporei).In un fegato sano, la componente di grasso neutro rappresenta all’incirca il 5% della massa, mentre in corso di lipidosi, il fegato, a causa dell’accumulo di lipidi, può arrivare a raddoppiare o triplicare il proprio peso.L’accumulo lipidico si verifica nel momento in cui la sintesi o il deposito epatico diventano nettamente superiori rispetto alla capacità di utilizzo. I fattori che caratterizzano e predispongono questa condizione patologica sono molteplici: La sovra-nutrizione, in particolare di carboidrati, aumenta in generale l’accumulo lipidico. L’obesità è un fattore predisponente, importantissimo per lo sviluppo della lipidosi epatica. Nel gatto obeso disappetente, il massivo rilascio di acidi grassi dai tessuti di deposito, mette a dura prova la capacità epatica di utilizzo e smaltimento degli stessi.  Per lo smaltimento e la dispersione dei lipidi risulta fondamentale la costituzione di very low densiy lipoproteins (VLDL). La compromissione della capacità epatica alla formazione di VLDL (che richiede una disponibilità energetica che è carente in corso di lipidosi) determina ulteriormente un notevole accumulo di trigliceridi. L’interazione degli acidi grassi con la L-carnitina risulta fondamentale per il trasporto degli acidi grassi all’interno dei mitocondri, affinché avvengano le beta ossidazioni (ossia le reazioni di utilizzo energetico dei lipidi).  I gatti con lipidosi epatica vanno frequentemente in contro a carenza di carnitina.  la carenza di vitamina B12 (cobalamina) è estremamente comune in corso di lipidosi.  La lipidosi epatica risulta solitamente reversibile se curata adeguatamente, ma se non viene trattata, può risultare estremamente grave e a volte portare a morte l’animale. Non bisogna pertanto sottovalutare periodi prolungati di digiuno. Soprattutto se il gatto è in sovrappeso, e non si alimenta da qualche giorno, è opportuno consultare rapidamente il proprio veterinario curante. SINTOMI I sintomi che generalmente sono più rappresentativi in corso di lipidosi epatica sono il vomito, l’abbattimento, l’anoressia e la perdita di peso repentina. Un altro segno clinico molto importante e spesso presente, è l’ittero, ossia il colore giallo di cute e mucose. I gatti affetti da lipidosi epatica sono spesso molto deboli e possono anche manifestare ventroflessione del collo o decubito permanente. In alcuni casi si possono evidenziare segni di encefalopatia epatica, ossia una sintomatologia neurologica secondaria ad un’autointossicazione dell’organismo. A volte l’encefalopatia epatica si può manifestare con ipersalivazione. Foto 1: gatto con lipidosi epatica ed ittero. Si noti il colore giallastro delle mucose. Nella maggior parte dei gatti con lipidosi epatica è presente una patologia sottostante. Fra le problematiche concomitanti più comunemente associate a lipidosi si possono avere altre malattie epatiche (es. colangiti), pancreatiti, malattie gastrointestinali (caratterizzate da vomito e diarrea), tumori o diabete mellito. Se avete un gatto sovrappeso e doveste notare anche solo uno di questi sintomi, il consiglio è di farlo visitare subito da un veterinario che dopo una visita accurata ed una particolare attenzione alla storia clinica e all’insorgenza della sintomatologia, per fare la diagnosi e valutare la gravità della patologia, potrebbe dover eseguire alcuni esami di laboratorio e strumentali. Esami del sangue: esame emocromocitometrico completo, profilo biochimico generale: Generalmente si riscontra iperbilirubinemia, aumento degli enzimi epatici, in particolare aumento di alanina aminotransferasi (ALT), aspartato aminotransferasi (AST), fosfatasi alcalina sierica ( SAP). La gammaglutamyl transferasi (GGT) risulta spesso normale (a meno che non vi sia una concomitante colangite). Altre alterazioni comunemente riscontrate sono rappresentate da ipopotassemia, diminuzione della BUN, ipofosfatemia, a volte ipoalbuminemia e ipocalcemia (soprattutto nei casi con concomitante pancreatite). Test di coagulazione: Si può osservare un aumento dei tempi di coagulazione poiché il fegato è coinvolto nella sintesi di elementi che promuovono i processi coagulativi; in particolare, in corso di lipidosi epatica, è frequente la carenza di vitamina K, una vitamina fondamentale per l’attivazione dei fattori della coagulazione. Radiografie: All’esame radiografico si può osservare epatomegalia (aumento di volume del fegato). Ecografia: All’esame ecografico si può rivelare un fegato alterato (iperecogeno) e la presenza di patologie intercorrenti (ad esempio una concomitante pancreatite, colangite o neoplasia). Ago aspirato epatico: L’ago aspirato è una procedura poco invasiva che può dare informazioni utili sulla presenza di accumulo di grasso nelle cellule del fegato (epatociti) ed escludere eventuali patologie tumorali sottostanti. Biopsia epatica: La biopsia epatica è raccomandata nei gatti che non rispondono al trattamento iniziale o nel caso in cui le biopsie siano indicata anche per indagare altri organi alterati. Una volta fatta diagnosi è importante iniziare il prima possibile la terapia per la patologia sottostante e per il conseguente stato di lipidosi epatica.   TERAPIA La lipidosi epatica è un processo spesso reversibile e negli ultimi anni la prognosi è notevolmente migliorata grazie all’utilizzo di un corretto supporto nutrizionale. Solitamente i gatti con lipidosi epatica e grave malessere necessitano  inizialmente di terapie ospedaliere e quindi di essere ricoverati per ricevere le cure più appropriate. Infatti molto spesso i pazienti gravemente malati sono abbattuti ed anoressici e necessitano di fluidoterapia endovenosa, che permette di integrare i liquidi e gli elettroliti carenti, ed alimentazione assistita per la quale il veterinario potrebbe dover applicare un sondino nasoesofageo o esogfagostomico (Figura 2) che permette la somministrazione di un’alimentazione adeguata.  L’alimentazione in quantità adeguata rappresenta infatti il principio terapeutico più importante e senza l’utilizzo di sondini spesso risulta molto difficile fornire quantità adeguate di alimento durante questa delicata condizione patologica.  In casi meno gravi la fluidoterapia può essere effettuata per via sottocutanea e la gestione potrebbe essere di tipo ambulatoriale. Figura 2: gatto con lipidosi epatica che viene regolarmente alimentato con sondino esofagostomico Il veterinario potrà inoltre prescrivere ulteriori farmaci od integratori come per esempio antiemetici, complesso vitaminico B, cobalamina, vitamina K, L-carnitina ed antiossidanti. La prognosi della lipidosi epatica dipende molto dalla patologia sottostante e dalla tempestività di intervento terapeutico.In collaborazione con la Dr.ssa Elena Zanato “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

Diarrea cronica nel cane: un sintomo che può avere varie cause !

Diarrea cronica nel cane: un sintomo che può avere varie cause !

La diarrea cronica nel cane è un sintomo clinico frequentemente riscontrato nel cane, spesso frustrante per il proprietario, che deriva da una malattia primaria o secondaria dell’apparato digerente (enteropatia). Spesso la diarrea cronica nel cane si accompagna anche ad altri sintomi clinici quali dimagrimento, vomito, disappetenza, aumento dei borborigmi (rumori prodotti dall’attività gastrica e intestinale udibili dall’esterno) e flatulenze (eccessiva presenza di gas a livello dello stomaco e dell'intestino, con aumentata emissione degli stessi).  Per diarrea cronica si intende un disturbo della defecazione caratterizzato da un’alterazione della consistenza, frequenza e quantità di emissione giornaliera delle feci. Può essere classificata in base alla durata, alla gravità, alla localizzazione nell’apparato digerente (piccolo o grosso intestino) o alla causa eziologica.  Circa la durata, viene definita cronica quando persiste da almeno 3 settimane oppure risulta recidivante. Infatti anche il cane che presenta sintomi clinici occasionali, verosimilmente responsivi a terapia sintomatica, ma ciclici e ripetitivi durante l’anno, deve essere considerato come affetto da malattia cronica e in quanto tale essere sottoposto ad accertamenti specifici. La gravità della diarrea viene valutata con un esame clinico dell’animale, con la valutazione della consistenza delle feci e della loro frequenza di emissione ed anche con esami di laboratorio e di diagnostica per immagini. Per quanto riguarda la tipologia, la diarrea può derivare da una malattia del piccolo o del grosso intestino o di entrambi i distretti dell’apparato digerente. Quest’ultima eventualità è la più frequente, soprattutto in corso di diarrea cronica. L’intestino è suddiviso in due settori: il piccolo intestino, costituito da duodeno, digiuno e ileo, e il grosso intestino, formato da cieco, colon e retto. A seconda del distretto maggiormente interessato sono possibili diverse manifestazioni cliniche e caratteristiche della diarrea (Tab. 1). Quando sono coinvolti entrambi i distretti i segni clinici possono essere misti. Tab. 1 Caratteristiche diarrea del piccolo e grosso intestino Piccolo intestino Grosso Intestino Dimagrimento Vomito Melena Normale numero di defecazioni Assenza di urgenza alla defecazionePica Muco nelle feci Ematochezia Tenesmo (dolore durante la defecazione) Urgenza alla defecazione Vomito (occasionalmente)   In corso di diarrea può essere presente sangue nelle feci. Questo può essere digerito in caso di affezioni di stomaco e piccolo intestino oppure vivo, in corso di ileo-colopatie. Nel primo caso le feci assumono un colore intensamente nero e si parla di melena, nel secondo il sangue presenta invece colore rutilante e si parla di ematochezia. E’ importante sottolineare che molti cani che mangiano proteine animali, spesso tramite dieta casalinga, hanno feci molto scure ma formate che non devono essere confuse con la melena. Alcuni cani con malattie del piccolo intestino presentano pica, ossia la tendenza all’ingestione continua di sostanze non nutritive (terra, sabbia, corpi estranei, etc). Inoltre molti cani con diarrea manifestano anche nausea (che possono manifestare con ingestione di erba, biascicamento, appetito capriccioso fino all’anoressia) e coliche addominali (addome teso, borborigmi e guaiti). La ricerca della causa eziologica della diarrea cronica nel cane è lo scopo del medico veterinario. La diarrea però è un sintomo aspecifico derivante da varie cause ovvero da malattie sia primarie che secondarie dell’apparato digerente (Tab. 2) e può necessitare quindi di approfondimenti diagnostici.   Tab. 2 Cause di diarrea cronica nel cane Cause primarie Cause secondarie o extra-gastroenteriche Malattie infettive/parassitarie Enteropatia dieta responsiva  Enteropatia antibiotico responsiva Enteropatia immuno-responsiva Neoplasie  Malattie epatiche Malattie pancreatiche Malattie metaboliche  Malattie sistemiche   Approccio al paziente con diarrea cronica  La valutazione del cane con diarrea cronica necessiterà della massima collaborazione fra il Veterinario ed il Proprietario dell’animale il quale dovrà riferire durante l’”anamnesi” tutte quelle informazioni che possono aiutare il medico veterinario a indirizzarsi verso una corretta diagnosi. L’iter diagnostico iniziale potrà prevedere esami di laboratorio e di diagnostica per immagini (radiografie dell’addome, ecografia addominale). In base al caso specifico, il Medico Veterinario, per quanto concerne gli esami di laboratorio potrà richiedere esami generali (emogramma, profilo biochimico, elettroforesi ed esame delle urine), che potranno poi essere ampliati con esami specifici per l’apparato gastroenterico, con lo scopo di  diagnosticare un eventuale interessamento pancreatico (TLI e lipasi specifica) o un possibile malassorbimento (folati e vitamina B12) oppure la presenza di malattie endocrine come l’ipoadrenocorticismo (cortisolo). Naturalmente possono anche essere importanti esami coprologici (delle feci), per escludere la presenza di parassiti, ed anche esami di citologia fecale. La citologia fecale è utile per identificare la presenza di agenti infettivi come Giardia (Figura 1), Prototeca, alterazioni della flora intestinale (disbiosi), infiltrati infiammatori ed eventualmente neoplasie del colon-retto. Fig. 1 - Esempio di citologia fecale, si evidenziano 2 forme di Giardia (frecce) e numerosi batteri Il Medico Veterinario potrà anche ritenere necessari esami di biologia molecolare (come ad esempio la PCR) su feci, volti alla ricerca di specifici agenti infettivi. Fra gli esami strumentali il veterinario potrebbe richiedere esami radiografici ed ecografico dell’addome. La radiologia e l’ecografia possono essere esami complementari per individuare alcune patologie come corpi estranei, ostruzioni o neoformazioni, versamenti, ecc. ed in generale per valutare gli organi addominali. Una volta eseguite le procedure diagnostiche il Medico Veterinario potrà decidere di prescrivere una terapia o effettuare delle prove dietetiche “trial dietetico”. In alcuni casi il Veterinario potrebbe ritenere utile la somministrazione di probiotici come supporto al sistema digerente, variandone sia tipologia che frequenza di somministrazione sulla base della risposta clinica. E’ da sconsigliare ai proprietari di cani con diarrea cronica, l’uso “fai da te” di farmaci, senza che siano stati prescritti da un Veterinario, per esempio antibiotici o altri farmaci, che nel tempo potrebbero causare effetti peggiorativi per la patologia intestinale in atto (per esempio disbiosi). In alcuni casi, inoltre, il Medico Veterinario potrebbe richiedere un esame endoscopico, che permette la visualizzazione di alcuni tratti dell’apparato gastroenterico (stomaco, duodeno, colon) ed anche la raccolta di campioni bioptici per poter eseguire un esame istologico. In seguito alla diagnosi istologica il veterinario potrà decidere di sottoporre il paziente a terapie mediche con farmaci specifici. Bisogna comunque sottolineare che alcune patologie (enteropatie infiammatorie croniche idiopatiche) possono essere solo controllate e non completamente risolte (guarite) e che quindi il paziente affetto potrà manifestare delle recidive nel corso della sua vita. La diarrea cronica nel cane è quindi un sintomo riferibile a differenti patologie a volte  difficilmente individuabili. E' quindi una sfida diagnostica che potrà avere un buon esito se ci sarà la massima collaborazione fra proprietario e veterinario. “DVM, Citologia apparato gastroenterico e respiratorio, Endoscopia, Malattie Respiratorie, Gastroenterologia".Dr. Enrico BotteroAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

LA PARVOVIROSI NEL CANE

LA PARVOVIROSI NEL CANE

La parvovirosi è una malattia infettiva altamente contagiosa, ad eziologia virale, che provoca una grave gastroenterite. Tale patologia, nei i cuccioli al di sotto dei 6 mesi di età, è spesso fatale. L’agente infettivo è il parvovirus canino (CPV) di tipo 2, da non confondere con il parvovirus canino di tipo 1 che è generalmente meno pericoloso e può dare forme gastroenteriche più lievi, miocarditi e polmoniti nei cuccioli di 1-3 settimane di età. L’infezione da parvovirus rappresenta probabilmente la più comune e grave causa di enterite del cane. Da quando nel 1978, il parvovirus canino venne identificato per la prima volta come agente eziologioco di enterite nel cane, tale patologia, a diffusione mondiale, ha assunto una notevole importanza in ambito veterinario. Il parvovirus canino ha delle caratteristiche che lo rendono particolarmente pericoloso: ha un ciclo oro-fecale, è quindi necessario che un cane infetto elimini il virus con le feci, che si disperda nell’ambiente e che un altro soggetto ne venga a contatto (Figura 1) è molto resistente nell’ambiente, bisogna quindi fare molta attenzione ad ambienti e materiali contaminanti (vestiti, oggetti, pelo del cane, pavimento) ha uno spiccato tropismo per le cellule in rapida replicazione, in particolar modo le cellule dell’intestino, quelle del midollo osseo e quelle del sistema linfatico è altamente contagioso Queste caratteristiche fanno sì che si possano facilmente innescare dei cicli endemici con alto tasso di mortalità all’interno di canili, pensioni per cani o negozi di animali. L’infezione può anche avvenire in utero durante una gravidanza o nei primi giorni di vita, il virus in tal caso può colpire le cellule cardiache (miociti) determinando una miocardite (infiammazione cardiaca) letale. Tale localizzazione, piuttosto comune alla fine degli anni 70’ e nei primi anni 80’, oggi è diventata estremamente rara; ciò è legato al fatto che praticamente tutte le cagne adulte sono vaccinate contro questo virus e possiedono quindi un certo grado di immunità nei confronti della malattia. I cuccioli, nelle prime settimane di vita, sono quindi protetti dall’immunità passiva materna; cioè è possibile poiché la madre, durante la gravidanza, passa ai cuccioli anticorpi contro il virus che permangono in circolo per circa 4 settimane dopo la nascita. Nelle settimane successive si verifica un calo degli anticorpi materni e i cuccioli diventano fortemente suscettibili all’infezione; inoltre, tale periodo di maggiore recettività coincide spesso con il momento della separazione dei cuccioli dalla madre, un fattore stressante che aumenta notevolmente il rischio di infezione. Per questo motivo, quando si adotta un cucciolo, è opportuno prestare molta attenzione a situazioni di possibile contagio (es. luoghi molto affollati con soggetti non vaccinati) e non bisogna mai sottovalutare la comparsa di sintomi quali anoressia, vomito e diarrea. Una volta avvenuto il contatto tra virus e cane si ha un periodo di incubazione che va dai 4 ai 14 giorni, dopo di che inizia la fase sintomatica. I sintomi possono essere molto diversi e dipendono dal grado di pericolosità della malattia (virulenza del virus), quantità di virus con cui il soggetto è venuto a contatto, difese immunitarie ed età del cane contagiato (più giovane è il cucciolo più pericoloso è la malattia).Figura 1: ciclo del parvovirus e strategie terapeutiche Sintomatologia I sintomi più comuni sono: anoressia febbre abbattimento del sensorio grave disidratazione  vomito copioso che fatica a rispondere ai farmaci antiemetici grave diarrea liquida ed emorragica (l’aspetto delle feci viene anche definito a “marmellata di ciliegie”) I danni midollari causati dal virus portano a diminuzione dei globuli bianchi (neutropenia) che può predisporre a gravi infezioni batteriche secondarie. A livello intestinale il virus replica negli enterociti causando ulcerazioni molto gravi.   Diagnosi I sintomi e la storia clinica (cucciolo non vaccinato che è stato a contatto con altri cani) fanno sospettare al veterinario questa malattia. Al fine di ottenere la conferma diagnostica il veterinario deve eseguire dei test specifici. Gli esami che vengono effettuati dal medico veterinario sono solitamente: esame emocromocitometrico esame biochimico completo emogasanalisi (eventuale) test per la ricerca del virus nelle feci (test ELISA o PCR) test sierologico per la ricerca di anticorpi nel sangue (eventuali)   Terapia Confermata la diagnosi è importante iniziare tempestivamente la terapia ed è spesso necessario ospedalizzare i cani affetti da parvovirosi. Viene instaurata una fluidoterapia endovenosa continua, mirata a ristabilire l’idratazione e ripristinare gli elettroliti, ad esempio sodio e potassio, che sono stati persi con il vomito e con la diarrea. Spesso i cuccioli con parvovirosi sviluppano ipoglicemia e in tali casi la fluiditerapia viene integrata con soluzioni contenenti glucosio. Alla terapia fluida vengono solitamente associate altre terapie quali antibiotici, antiemetici, antiacidi, antidolorifici e albumine, cioè proteine che spesso vengono perse a causa dell’importante diarrea. Nei casi più gravi si deve ricorrere a trasfusioni di sangue. Poiché l’assunzione di alimento può peggiorare il problema vomito, in questi casi è consigliata la sospensione dell’alimentazione per bocca per passare eventualmente ad una nutrizione attraverso dei sondini per la nutrizione parenterale. Vista la contagiosità della malattia (potrebbe mettere in pericolo altri cani non vaccinati) e le cure necessarie, è evidente che si debba ricorrere all’ospedalizzazione in apposite strutture veterinarie che dispongano di reparti dedicati ad animali colpiti da malattie infettive (reparto infettivi). Generalmente il periodo di ricovero è di circa 7 – 10 giorni, ma per animali con sintomi lievi possono essere sufficienti 2-3 giorni. Un ottimo segno di ripresa è quando il cane ricomincia ad alimentarsi da solo senza vomitare.   Vaccino e Prevenzione La parvovirosi può essere prevenuta con il vaccino.  La prima somministrazione nei cuccioli può essere effettuata a 6-8 settimane di età e successivamente sono necessari dei richiami. Il vaccino viene ripetuto poi in età adulta. In generale esistono vaccini “core” ossia fortemente raccomandati, e vaccini “non core”, consigliati e che vengono generalmente somministrati in base allo stile di vita e all’ambiente in cui il cane vive. Quello per il parvovirus è un vaccino “core”, è quindi fortemente raccomandato per tutti i soggetti. È molto importante che i cani vengano vaccinati, sia per proteggere loro stessi sia per prevenire le infezioni di altri cuccioli. E’ importante adottare dei comportamenti adeguati quando si adotta un cucciolo;. In particolare va evitato il contatto tra cani non vaccinati, evitando le situazioni di maggiore affollamento e possibilmente, prima del completamento delle vaccinazioni, vanno evitati i parchetti frequentati da altri cani. In ambienti quali canili, rifugi, allevamenti, negozi di animali è necessario adottare misure preventive e nel caso in cui si individui un soggetto infetto, vanno adottate misure adeguate di disinfezione dell’ambiente per evitare la rapida diffusione del virus. Con la collaborazione della Dr.ssa Elena Zanato  “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

Epatite Cronica del cane

Epatite Cronica del cane

Che cos’è l’epatite cronica del cane? L’epatite cronica del cane è una malattia di natura infiammatoria e degenerativa a carico del fegato caratterizzata da una insorgenza lenta e da un andamento cronico e progressivo.  Quando si parla di epatite cronica una distinzione fondamentale va fatta tra l’epatite cronica primaria, di cui parleremo in questo articolo, e quella secondaria. Nell’epatite cronica primaria il meccanismo patologico origina nel fegato e lo coinvolge direttamente causando delle alterazioni significative. Nell’epatite cronica secondaria invece, il processo patologico scatenante origina al di fuori del fegato (ad esempio nell’intestino, nel pancreas o nel cavo orale) con coinvolgimento solo susseguente del fegato e con comparsa di alterazioni lievi e poco significative. Questa forma viene chiamata anche epatite cronica reattiva a significare la reazione del fegato a un processo patologico insorto altrove. La prevalenza dell’epatite cronica primaria del cane è largamente sconosciuta. Tuttavia, si sospetta che la malattia sia sotto-diagnosticata per la scarsa propensione a eseguire biopsie del fegato necessarie al raggiungimento della diagnosi e per via della sua subdola insorgenza e lenta progressione che la rendono difficilmente sospettabile.  Cosa causa l’epatite cronica nel cane? La vera causa dell’epatite cronica primaria del cane è in buona parte sconosciuta ma si sospetta che la malattia sia dovuta a una aberrante attivazione del sistema immunitario del cane nei confronti di componenti cellulari del fegato con successivo instaurarsi di un processo infiammatorio auto-propagante che a sua volta porta all’instaurarsi di danni strutturali irreversibili (malattia su base immunomediata). Diverse cause potenziali in grado di causare questa disfunzione del sistema immunitario sono state considerate dai ricercatori. Tra le più studiate si annoverano: - Malattie infettive  - Malattie metaboliche - Farmaci e tossine ambientali Nonostante diversi studi, l’associazione tra queste cause e l’epatite cronica primaria del cane non è stata dimostrata in maniera convincente e la vera causa della malattia rimane elusiva.  In alternativa alla disfunzione del sistema immunitario, un’altra causa di epatite cronica primaria del cane è rappresentata dall’accumulo eccessivo di rame all’interno del fegato (epatite cronica rame associata). In condizioni naturali il rame assunto con la dieta viene assorbito a livello intestinale e arriva al fegato dove viene utilizzato per catalizzare reazioni cellulari essenziali, viene immagazzinato come riserva e la quantità in eccesso viene eliminata attraverso le vie biliari e quindi attraverso l’intestino.  In alcuni casi a causa di un difettoso meccanismo di trasporto e/o escrezione del rame, questo metallo pesante si accumula in maniera eccessiva nel fegato dove causa un grave e progressivo danno ossidativo con morte (apoptosi) delle cellule epatiche e una risposta infiammatoria secondaria massiccia.In questo caso è l’accumulo di rame a scatenare il processo infiammatorio (accumulo di rame primario). E’ tuttavia possibile che in alcuni casi di epatite cronica su base immunomediata, l’accumulo di rame avvenga secondariamente alla perdita di funzione delle cellule del fegato causata dal processo infiammatorio (accumulo di rame secondario).  La distinzione tra queste due forme di accumulo di rame sarà fondamentale ai fini della scelta della terapia più adeguata e potrà avvenire solo mediante la misurazione effettiva della quantità di rame presente nella biopsia epatica. Quali razze di cane sono a maggior rischio di sviluppare l’epatite cronica?  Premesso che l’epatite cronica (sia la forma immunomediata che quella rame-associata) può colpire cani di qualsiasi razza, sesso ed età, diversi studi scientifici hanno evidenziato delle predisposizioni di razza per entrambe le forme di epatite cronica del cane.  Le razze maggiormente a rischio includono (lista non esaustiva): Dalmata (forma rame-associata) Labrador Retriever (forma immunomediata e forma rame-associata) Doberman Pinscher (forma immunomediata e forma rame-associata) West Highland White Terrier (forma rame-associata) Bedlington Terrier (forma rame-associata su base genetica) English e American Cocker Spaniel (forma immunomediata) English Springer Spaniel (forma immunomediata) L’età media dei cani con epatite cronica è intorno ai 7 anni tuttavia la malattia può colpire anche cani più giovani o anziani. Alcuni studi hanno inoltre riscontrato una maggior rischio di sviluppare la malattia per i cani di sesso femminile soprattutto per le razze Labrador Retriever, Doberman, Dalmata e English Springer Spaniel. Altri studi invece hanno riscontrato un rischio maggiore nei maschi di razza American e English Cocker Spaniel.  Come si può sospettare clinicamente l’epatite cronica in un cane? Per via della grossa riserva funzionale del fegato e per via della natura insidiosa della malattia, l’epatite cronica può svilupparsi senza mostrare alcun sintomo clinico se non quando il problema è già avanzato.E’ importante quindi sospettare la malattia nei cani di razze a rischio anche in presenza di sintomi clinici aspecifici o lievi.  I sintomi clinici più frequentemente notati dai proprietari di cani con epatite cronica sono i seguenti (tra parentesi è riportata la relativa percentuale di frequenza): Riduzione dell’appetito 61% Letargia/depressione 56% Colorazione giallastra di occhi, mucose orali e cute 34% Distensione addominale da liquido 32% Aumento della sete e dell’urinazione (polidipsia/poliuria) 30% Vomito 24% Diarrea 20% Sintomi neurologici (encefalopatia epatica) 7% Come già accennato, l’epatite cronica primaria del cane ha una fase sub-clinica o pre-clinica molto lunga durante la quale i sintomi clinici sono assenti o lievi, il che complica la diagnosi e la terapia tempestiva della malattia prima che si sviluppino gravi alterazioni (alcune irreversibili) del fegato.  Fortunatamente, un aiuto dal punto di vista diagnostico ci viene fornito dagli esami di laboratorio, in particolare dal profilo biochimico. Come posso sospettare l’epatite cronica del cane con gli esami di laboratorio? Le indagini di laboratorio sono utili per avanzare un sospetto di epatite cronica (soprattutto le forme avanzate) ma non sono utili ad escludere la presenza della malattia perché possono risultare nella norma nonostante la malattia (seppur in forma lieve sia già presente). L’esame di laboratorio più utile per avanzare il sospetto di epatite cronica è il profilo biochimico. In particolare, l‘aumento significativo (> 2 volte il range superiore di laboratorio) e persistente (di durata > 2 mesi) dell’enzima ALT è fortemente indicativo di un danno significativo alle cellule epatiche e, se sono state escluse cause extra-epatiche dell’alterazione, renderebbe necessaria l’esecuzione di una biopsia epatica per escludere la presenza di epatite cronica.  Altre alterazioni del profilo biochimico riportate in corso di epatite cronica del cane includono un aumento (inferiore in proporzione a quello della ALT) di altri enzimi del fegato come la ALP, la GGT e la AST, l’aumento della bilirubina (iperbilirubinemia) o, nei casi avanzati con insufficienza epatica, la diminuzione del glucosio (ipoglicemia), del colesterolo (ipocolesterolemia), delle albumine (ipoalbuminemia) e della BUN.  Talvolta, soprattutto negli stadi terminali della malattia (cirrosi), gli enzimi epatici possono risultare nella norma o al di sotto dei range di riferimento per la perdita di massa vitale del fegato. L’ecografia addominale è utile per sospettare l’epatite cronica del cane? L’esame ecografico è generalmente molto utile per la valutazione d’insieme del fegato (della sua forma, dimensione e ecostruttura), delle vie biliari e delle strutture vascolari associate al fegato. Purtroppo la sua utilità nella diagnosi dell’epatite cronica è relativamente bassa in quanto in buona parte dei casi il fegato può apparire ecograficamente normale nonostante la presenza di gravi alterazioni del profilo biochimico. Si parla quindi di una bassa sensibilità dell’ecografia per la diagnosi di epatite cronica ovvero non si può escludere la malattia sulla base di un esame ecografico nella norma.In casi avanzati di epatite cronica il fegato potrebbe apparire ridotto di dimensioni  (microepatica) con architettura gravemente distorta e si potrebbe riscontrare la presenza di liquido libero in addome (ascite) o la proliferazione di piccoli vasi sanguigni (shunt portosistemici acquisiti).Ecografia addominale di un cane con epatite cronica di stadio avanzato. Il fegato (F) appare gravemente ridotto di dimensioni, con perdita della normale apparenza ecografica e comparsa di una struttura diffusamente disomogenea. Cosa serve per confermare la diagnosi di epatite cronica del cane? Per confermare la diagnosi di epatite cronica sarà obbligatoria l’esecuzione di una biopsia epatica e la successiva richiesta dell’esame istologico che dovrà essere interpretato da un patologo esperto di malattie del fegato. Unitamente all’esame istologico della biopsia epatica è consigliato eseguire sempre un esame colturale della bile e delle colorazioni speciali per valutare l’accumulo di rame o pigmenti all’interno delle cellule del fegato. Quali sono i criteri istologici per la diagnosi di epatite cronica del cane? I criteri istologici tipici dell’epatite cronica includono la presenza di un infiltrato infiammatorio di tipo mononucleare (rappresentato da linfociti, plasmacellule e macrofagi) o misto (con presenza anche di cellule multinucleate) a distribuzione variabile nel contesto lobulo epatico (l’unità anatomica e funzionale del fegato), in associazione a morte degli epatociti (necrosi e apoptosi).In casi avanzati ci sarà presenza di fibrosi più o meno grave con la proliferazione dei piccoli dotti biliari e la formazione di isolotti di tessuto epatico circondato da fasci di collagene (rigenerazione nodulare).Nei casi molto avanzati la normale architettura del fegato sarà distorta e si parlerà di cirrosi epatica, che rappresenta lo stadio finale della malattia associato a una prognosi infausta.  Al fine di escludere la presenza di un accumulo eccessivo di rame come causa della epatite cronica sarà necessario eseguire una colorazione speciale sul tessuto epatico (con rodanina) che permetterà di notare la presenza e la distribuzione di rame nel campione bioptico e in ultima analisi la quantificazione del rame (espressa in mg/kg di sostanza secca) sul tessuto.In caso di una concentrazione di rame > 700 mg/kg ma < 1500 mg/kg si tratterà di un accumulo di rame secondario alla infiammazione (epatite cronica immunomediata).Nel caso invece di una quantità > 1500 mg/kg si tratterà di un accumulo primario di rame con infiammazione secondaria (epatite cronica rame-associata).Immagine istologica di una biopsia epatica sottoposta a colorazione con rodanina. Si apprezza una area del lobulo epatico con (*) con intensa colorazione rossastra indicativa di accumulo eccessivo di rame e di epatite cronica rame-associata. Quale terapia per l’Epatite Cronica nel cane? Il veterinario, in aggiunta alla terapia sintomatica (basata sul controllo dei sintomi e delle complicazioni derivate dalla malattia), opterà per la terapia dell’epatite cronica del cane appropriata in base al tipo di patologia: immunomediata o rame-associata. Nel caso della epatite cronica Immunomediata la terapia si basa sull’utilizzo di farmaci immunosoppressori in aggiunta a farmaci di supporto  come antiossidanti, dieta con bassissima quantità di rame e proteine di alto valore biologico. Solitamente la terapia sarà necessaria per almeno 12 mesi con tentativi di ridurre il dosaggio del farmaco in base alla risposta clinica e al miglioramento della concentrazione ematica di ALT. Tuttavia in alcuni casi il cane andrà trattato indefinitamente.  Nella epatite cronica rame-associata: bisognerà utilizzare farmaci cosiddetti “chelanti del rame” (come la D-penicillamina) che agiscono riducendo l’assorbimento intestinale del rame e favorendo l’eliminazione del rame accumulato a livello epatico, in aggiunta a farmaci antiossidanti e dieta a basso contenuto di rame. Solitamente saranno necessari 6-9 mesi di terapia per riuscire a ridurre in maniera efficace la quantità di rame accumulata in eccesso nel fegato. Per monitorare la risposta alla terapia sarebbe ideale ripetere la biopsia epatica e quantificazione del rame, ma spesso si preferisce monitorare i sintomi clinici e l’andamento della concentrazione ematica della ALT come indici indiretti di remissione. Qual è la prognosi dell’epatite cronica del cane? La prognosi nella epatite cronica del cane dipenderà dallo stadio della malattia e dalla tempestività della diagnosi e dell’inizio della terapia. Tra i fattori prognostici negativi ci sono: Riscontro di iperbilirubinemia al profilo biochimico La presenza di ascite all’esame ecografico (associata a fibrosi e ipertensione portale) Gravità ed estensione della fibrosi all’esame istologico “Med. Vet., Diplomato ACVIM, Diplomato ECVIM-CA, MRCVS, EBVS® - Specialist in Small Animal Internal Medicine”Dr. Fabio ProcoliAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

LA PANCREATITE ACUTA NEL CANE

LA PANCREATITE ACUTA NEL CANE

Con il termine di pancreatite si definisce l’infiammazione del pancreas. Il pancreas è un organo ghiandolare localizzato nell’addome craniale, adiacente al piccolo intestino. In condizioni di normalità (fisiologiche), il pancreas svolge due funzioni molto importanti. Attraverso la produzione di insulina regola il metabolismo del glucosio e grazie alla secrezione di enzimi quali proteasi, amilasi, lipasi e fosfolipasi e tripsina (successivamente convertita a tripsinogeno) prende parte ai processi digestivi degli alimenti.Da questo si deduce che una patologia legata ad un’infiammazione di quest’organo può causare conseguenze gravi per l’organismo.La pancreatite acuta nel cane ad oggi è una patologia estremamente temuta perché può manifestarsi in modo grave ed avere un alto tasso di mortalità e tempi di guarigione molto lunghi. Esistono tuttavia vari gradi di gravità e alcune forme sono lievi e possono addirittura passare inosservate e senza sintomatologia evidente. I cani affetti da questa patologia necessitano solitamente di varie terapie che generalmente richiedono il ricovero.Vengono colpiti cani di media età ma può insorgere anche in soggetti più giovani e potenzialmente a qualunque età.Le cause di pancreatite acuta nel cane non sono ben chiare ma sono stati individuati diversi fattori predisponenti. Sicuramente una dieta ricca di grassi e povera in proteine può predisporre a questo tipo di patologia, anche l’eccessiva integrazione con alimenti non dedicati esclusivamente al cane (ad esempio cibo per gatti), o l’ingestione di alimenti avariati (ingestione di rifiuti) possono essere nocivi. Altri fattori che possono indurre la pancreatite sono l’ipercalcemia, l’ipertrigliceridemia, l’obesità, infiammazioni concomitanti quali enteriti, colangiti (ossia infiammazioni alla cistifellea), colangioepatiti (ossia infezioni alle vie biliari e al fegato) e l’assunzione di determinati tipi di farmaci quali ad esempio l’aziatioprina (farmaco immunosoppressivo), il bromuro di potassio (farmaco per l’epilessia) i sulfamidici (antibiotici), il cisplatino e l’asparginasi (farmaci oncologici).Potenzialmente anche alcuni farmaci possono predisporre allo sviluppo di pancreatite. Un tempo si credeva che anche le terapie cortisoniche potessero predisporre alla pancreatite ma questo non è stato confermato da recenti studi.Esiste anche una predisposizione di razza, e le cinque razze in cui è stata osservata una maggiore prevalenza della patologia sono il Miniature Schnauzer, lo Shetland Sheepdog, lo Yorkshire Terrier, il Barbone Nano e il Bichon Frisè. Va tuttavia ricordato che la pancreatite acuta può insorgere in qualunque razza.Anche cause traumatiche, sia chirurgiche che accidentali (es. grossi traumatismi addominali), possono predisporre all’insorgere della pancreatite acuta. A volte, l’ipoperfusione del pancreas in seguito a procedure anestesiologiche può predisporre allo sviluppo di pancreatite.Cani con altre patologie concomitanti, ad esempio disturbi endocrini (es. morbo di Cushing, ipotiroidismo, diabete mellito) sono maggiormente predisposti allo sviluppo di pancreatite.Sono stati identificati anche dei fattori ereditari, più precisamente mutazioni della tripsina che predispongono allo sviluppo dell’infiammazione del pancreas. Nella figura 1 vengono riportate le principali cause di pancreatite acuta nel cane. Indipendentemente dalla causa che raramente viene identificata con certezza, il decorso fisiopatologico di questa malattia è ben chiaro: uno o più dei fattori predisponenti sopracitati causa un rilascio eccessivo di enzimi pancreatici in particolare del tripsinogeno attivato a tripsina che innesca un processo di autodigestione dell’organo e un’intensa e acuta cascata infiammatoria.   Figura 1: Schematizzazione dei fattori in grado di causare la pancreatite acuta nel cane. Tratto da Petrelli A, Fracassi F: La pancreatite acuta nel cane: eziopatogenesi, sintomatologia e diagnosi. Veterinaria 2016; 30:99-114Quali sintomi può dare questa patologia?Come detto in precedenza questa non è una malattia da sottovalutare e non sono da trascurare neanche i sintomi che possono variare da molto lievi, come ad esempio disappetenza, qualche sporadico episodio di vomito o lieve fastidio addominale, fino al vero e proprio addome acuto (addome estremamente dolente) con vomito frequente (vari episodi al giorno), anoressia e il così detto “atteggiamento a preghiera”( zampe anteriori allungate sul pavimento e zampe posteriori estese), disidratazione fino ad arrivare a stati di shock in cui il cane non riesce a stare in piedi.Figura 2. Cane con pancreatite acuta e assume il così detto “atteggiamento a preghiera” Questi sintomi (Tabella 1) non sono tuttavia patognomonici di pancreatite acuta, cioè fanno sospettare questa patologia come tante altre del comparto craniale addominale quali ad esempio problematiche epatiche, di cistifellea, gastriche o duodenali. Sintomi % Anoressia 91% Vomito 90% Debolezza 79% Dolore Addominale 58% Disidratazione 33% Febbre 23% Tabella 1: Sintomi con relative frequenze in corso di pancreatite acuta nel cane. Come si diagnostica questa patologia?La diagnosi si effettua integrando i dati dell’anamnesi (ossia la storia dell’animale), della visita clinica, degli esami di laboratorio e di diagnostica per immagini (soprattutto l’ecografia). Gli esami emato-biochimici e delle urine non permettono di individuare elementi specifici per diagnosticare la pancreatite; tuttavia, sono necessari per escludere le altre diagnosi differenziali che possono determinare una sintomatologia simile. A tele proposito gli esami di base che devono essere eseguiti sono:- Esame emocromocitometrico completo- Esame biochimico completo- Esame delle urineEsistono poi dei test più specifici per individuare la pancreatite:- Misurazione della lipasi e/o della così detta lipasi DGGR- Test per l’immunoreattività della lipasi pancreatica canina (cPLI)- Test per l’immunoreattività tripsinosimile sierica (TLI)La lipasi DGGR e il cPLI, pur con vari limiti (nessun test è perfetto), sono considerati i due parametri più attendibili per la diagnosi di pancreatite acuta nel cane. Va tuttavia sottolineato che per qualunque parametro laboratoristico esistono false positività (ossia il test è positivo ma la malattia non è presente) e false negatività (il test è negativo ma la malattia è presente). E’ compito del veterinario quello di integrare tutte le informazioni per emettere una diagnosi, non è possibile infatti basarsi su un singolo test. Ecografia addominale: I segni evidenziabili ecograficamente sono in relazione alla gravità della patologia, alla durata e all’estensione dell’infiammazione del tessuto pancreatico e delle strutture circostanti. Secondo uno studio, la capacità dell’ecografia addominale di evidenziare la pancreatite acuta nel cane è del 68%.Come si cura la pancreatite acuta nel cane ?Al pari di quanto avviene per molte patologie, la terapia dovrebbe essere finalizzata alla rimozione dell’eventuale causa sottostante. Per tale motivo risulta di fondamentale importanza indagare la presenza di potenziali fattori di rischio quali la presenza di ipertrigliceridemia, ipercalcemia, ingestione di rifiuti, tossici o alimenti fortemente ricchi di lipidi, anestesie recenti o somministrazione di farmaci. Nel caso in cui l’animale risulti in terapia con farmaci in grado di indurre pancreatite, quando possibile, tali farmaci andrebbero sospesi o quantomeno sostituiti. Purtroppo molto spesso non è possibile identificare la causa scatenante.Le terapie e la prognosi dipendono molto dallo stato di gravità della pancratite.Una grave pancreatite acuta nel cane è una patologia molto seria con alto tasso di mortalità e richiede cure intensive mentre una pancreatite moderata può essere gestita con fluidoterapia endovenosa e analgesici e i pazienti con pancreatite molto lievi possono a volte, anche se raramente, essere gestiti con terapie domiciliari.Esistono forme estremamente mortali di pancreatite acuta, le pancreatiti necrotizzanti gravi.Terapia di supportoUn’adeguata fluidoterapia rappresenta il punto cardine nella terapia della pancreatite acuta. La fluidoterapia deve essere individualizzata secondo le esigenze del singolo paziente.AlimentazioneFino a poco tempo fa l’indicazione era quella di non alimentare l’animale per diversi giorni al fine di “far riposare” il pancreas. Non esiste evidenza scientifica che questo sia corretto e pertanto le indicazioni sono quelle di alimentare da subito i soggetti con pancreatite. L’unica controindicazione è rappresentata dai cani con vomito frequente e difficile da bloccare; tuttavia, dopo 12 ore di assenza di vomito è indicato iniziare ad alimentare il soggetto con un alimento a bassissimo tenore lipidico. Nei casi di anoressia prolungata (2-4 giorni) è indicata una nutrizione enterale (sondino nasale, esofageo o gastrico). AnalgesiaNell’uomo la dolorabilità addominale viene riportata nel 90% dei soggetti con pancreatite. Nei nostri animali vengono indicate percentuali più basse. Nei nostri animali questi dati sono molto probabilmente falsati dal fatto che non siamo in grado di discriminare se vi sia o meno dolore addominale e molto probabilmente queste percentuali sono più alte. E’ opportuno considerare che ciascun cane e gatto con pancreatite abbia dolore addominale e dovrebbe essere trattato di conseguenza. Possono essere utilizzati differenti protocolli di analgesia ma è bene che i farmaci antinfiammatori vengano evitati.AntiemeticiNel caso in cui il cane, nonostante la terapia fluida e l’eventuale gastroprotettore, continui a vomitare è opportuno somministrare un antiemetico. Somministrazione di plasmaIl plasma contiene numerose sostanze quali fattori della coagulazione, inibitori delle proteasi albumina che possono essere benefici in un soggetto con pancreatite. Nonostante la somministrazione di plasma venga suggerita da molti autori né in medicina umana né in medicina veterinaria è stato provato che la terapia abbia un’influenza sulla prognosi dei pazienti con pancreatite acuta. AntibioticiRaramente i cani con pancreatite presentano complicazioni infettive e pertanto non vi è evidenza che la terapia antibiotica sia utile nel management di questa patologia. La terapia antibiotica può eventualmente risultare utile nelle forme più gravi al fine di evitare una traslocazione batterica dall’intestino. AntinfiammatoriNon vi è indicazione che vi siano dei benefici riguardanti l’utilizzo di corticosteroidi o antinfiammatori non steroidei (FANS) nella terapia della pancreatite. Molti FANS sono stati inoltre riconosciuti come possibile causa di pancreatite e vanno pertanto evitati.Intervento chirurgicoNumerosi protocolli chirurgici sono stati proposti nella gestione della pancreatite acuta e cronica quali il lavaggio peritoneale, la pancrectomia parziale e la necrosectomia. Non esistono studi sistematici che dimostrino l’efficacia di tali procedure nel cane. Attualmente le eventuali indicazioni chirurgiche riguardano soltanto gli ascessi pancreatici o le pseudo cisti che non tendono a regredire.Con la collaborazione della Dr.ssa Elena Zanato “DVM, Diplomato ECVIM-CA, EBVS® - European Veterinary Specialist in Small Animal Internal Medicine - Animali da compagnia, Endocrinologia non riproduttiva, medicina interna e terapia (Malattie Metaboliche).”Prof. Federico FracassiAutore #sppb-addon-1719818877863 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877863 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877863 img{}#sppb-addon-1719818877864 { box-shadow: 0 0 0 0 #ffffff; margin:0px 0px 30px 0px;} @media (min-width: 768px) and (max-width: 991px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 20px;margin-left: 0px;}}@media (max-width: 767px) {#sppb-addon-1719818877864 {margin-top: 0px;margin-right: 0px;margin-bottom: 10px;margin-left: 0px;}}#sppb-addon-1719818877864 img{}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}.sp-page-builder .page-content #section-id-1719818877856{padding-top:30px;padding-right:0px;padding-bottom:30px;padding-left:0px;margin-top:0px;margin-right:0px;margin-bottom:0px;margin-left:0px;}#column-id-1719818877862{box-shadow:0 0 0 0 #fff;}

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